Siamo giunti all’ultima parte del nostro viaggio “on the roadâ€. Da Avellino ci spostiamo fino a Calitri toccando i paesi più belli dell’alta Irpinia, i paesaggi più suggestivi e le attrazioni naturali che meritano di essere vissute e godute a pieno. Ci immergiamo nell’Arcadia del Sannazzaro. Non c’è paese irpino che non abbia qualcosa da raccontare dei popoli che per tremila anni l’hanno solcata Etruschi, Romani, Greci, Goti, Longobardi…
Dopo Avellino l’accesso all’alta Irpinia è permesso e reso ameno dall’Ofantina, una superstrada completamente riqualificata e ricostruita dopo il terribile terremoto dell’Ottanta che in queste zone fece sentire la sua forza maggiore mietendo centinaia e centinaia di vittime. Il “Fate presto†della prima pagina del quotidiano “Il Mattino†sembra risuonare ancora nel verde delle montagne, dei fiumi e dei paesaggi di questa zona che mantiene in sé ancora il fascino incontaminato della civiltà agricola. Dopo il lungo viadotto che scavalca le case di Parolise, passando per Atripalda (sulle rive del fiume Sabato è la zona archeologica dell’antica Abellinum) e Manocalzati, si arriva al piano carsico di Volturara Irpina, detto Piana del Dragone (https://www.cinquecolonne.it/ccm/?p=1012, Volturara Irpina). Le acque del Piano del Dragone alimentano vari inghiottitoi, il maggiore dei quali è noto come le Bocche del Dragone. Secondo una leggenda, queste si sarebbero formate per lo sprofondamento di un mostro con tre teste, posto a guardia di un tesoro celato in una caverna. Secondo i geologi, le acque del Dragone dovrebbero riuscire più in basso, nella valle del Calore presso Cassano Irpino, dove in effetti copiose sorgenti sono captate per alimentare l’acquedotto del Sele. L’elemento che caratterizza questo tratto è la castagna soprattutto negli ampi spazi che vanno dal passo Cruci a 980 metri sul livello del mare (qui è obbligatoria una sosta) fino a Montella e Bagnoli Irpino. Salendo sulla destra è possibile arrivare ai piani di Verteglia e al Terminio ma proseguendo sulla strada arriviamo invece a Montella, attivissimo centro agricolo su cui dall’alto veglia il Santuario del Salvatore in cui una visita è d’obbligo. Di fronte a Montella, ai piedi del Montagnone di Nusco si distende Bagnoli Irpino su un ampio terrazzo, tra un mosaico di colture e folti castagneti. Nella chiesa settecentesca di San Francesco a Folloni di ed in particolare nel convento annesso sono raccolte numerose opere d’are recuperate dopo il sisma dell’Ottanta. Siamo in piena Arcadia, quella classica, quella letteraria, quel luogo utopico e sognato. Rivive in questa parte dell’alta Irpinia. Dominato dai resti del Castello, Bagnoli Irpino ha conosciuto nel Cinquecento un periodo di straordinaria fioritura artistica grazie ai signori di Cavaniglia. Probabilmente proprio in questi luoghi Jacopo Sannazzaro compose la sua “Arcadiaâ€. Castagne, noccioli, tartufi bianchi e neri ed il tipico liquore al tartufo sono i prodotti assolutamente da assaggiare in tutte le loro varietà e abbinamenti culinari. Una verde Irpinia ricca di boschi che lascia intravedere qua e là un patrimonio di cultura e d’arte: Etruschi, Romani, Greci, Goti, Longobardi e tante altre popolazioni si sono avvicendate e sono passate per l’Irpinia lasciando il loro ricordo in rovine romane, catacombe austere, ruderi longobardi e monumenti barocchi. Ogni paese irpino ha qualcosa da raccontare soprattutto attraverso i tanti castelli arroccati che sorvegliano dall’alto le valli. Da Bagnoli Irpino una passeggiata è consigliata al Piano Laceno attraverso una strada comoda ed assai panoramica che offre scorci incantevoli sull’intera valle del Calore e sui suoi paesi, nonché sulle alte vette dei Picentini e sul singolare profilo femminile con cui, verso sud-ovest, è scolpita la cresta dell’Accéllica. E’ uno spettacolo davvero suggestivo: una vasta pianura erbosa, tutta chiusa da alte pareti boscose, e un orizzonte fatto di cime ondulate e rocciose: in estate risuona lo scampanio delle mandrie al pascolo; d’inverno, il mantello nevoso evoca atmosfere alpestri. Si consiglia il giro lungo l’anello stradale che contorna il piano, al centro del quale si stende un modesto laghetto carsico, smaltito da un inghiottitoio ai piedi di una rupe isolata. Si tratta del monte di Venere così chiamato per un forse antico tempietto dedicato alla dea. Oggi c’è un albergo sorto sulle rovine di un antico rifugio. Qui, nell’albergo Quattro Camini è possibile gustare i rustici ed i succulenti piatti della cucina irpina e partire per numerose escursioni come quella al Monte Cervialto, la massima cima dei Picentini, raggiungibile anche su strada e dalla cui parte alta è possibile vedere fino al golfo di Salerno. Dal Laceno poi, attraverso conche carsiche e foreste di conifere tra cui si vede anche il pino austriaco, si può scendere a Lioni, sulle rive dell’Ofanto. E proprio nei pressi di questo importante centro è possibile ammirare in tutta la sua bellezza, imboccando per un paio di chilometri la strada che arriva fino a Sant’Angelo dei Lombardi, l’abbazia di San Guglielmo al Goleto, fondata nel XII secolo da San Guglielmo da Vercelli, riqualificata negli ultimi anni ed emblema di un mondo di quiete, fede e natura. Una semplice celebrazione eucaristica con i monaci può costituire per l’animo umano una vera conciliazione con il mondo divino: il presbiterio della chiesa settecentesca del Vaccaro al Goleto, scarno ma imponente, sembra tagliato ma nello stesso tempo sembra esso stesso squarciare il cielo con le sue mura sberciate e rosse. Tornando indietro una sosta è consigliata anche a Nusco, annoverato tra i borghi più belli d’Italia (Nusco https://www.cinquecolonne.it/ccm/?p=865). Dopo Nusco si arriva a Lioni, uno dei centri più fiorenti per quanto riguarda le industrie. E proprio nell’area che va da Lioni fino poi a Calitri che si è concentrato in tutta la sua potenza il terribile disastro del 1980. Sia che seguiamo il vecchio e tortuoso tracciato della via Appia, sia che percorriamo il fondovalle dell’Ofanto ne sono ancora evidenti i segni: qualcosa dei vecchi centri è comunque rimasto e si cerca di conservarlo per non tagliare del tutto i legami con le proprie radici culturali. E Conza con il suo antico Parco Archeologico (antica Compsa) ne è un esempio mirabile. Una città divenuta un qualcosa di straordinario purtroppo oggi abbandonata a se stessa. Eppure le possibilità di recupero ci potrebbero essere: basterebbe un imprenditore ed una scommessa tipo quella di Daniele Elow Kilhgren che nel 1998, girando in motocicletta, scoprì Santo Stefano di Sessanio, piccolo borgo abruzzese nel parco del Gran Sasso e se ne innamorò. Con il progetto Sextantio (www.sextantio.it), dopo aver acquistato grazie a solide attività di famiglia l’intero paese disabitato, ha restaurato attraverso un recupero filologico delle strutture e degli ambienti tutto l’abitato creandone un albergo diffuso. Ha dato nuova vita al borgo: ecco un progetto di questo tipo potrebbe rivalorizzare Conza della Campania. Considerando poi lo splendido paesaggio dell’Oasi del Lago di Conza sul fiume Ofanto, una delle zone umide più importanti del Mediterraneo capace di regalare nel periodo estivo la splendida fioritura del papavero rosso che colora interamente la zona, il piatto con gli ingredienti giusti sembra già servito.  Mentre si procede, dopo aver superato una stretta gola dell’Ofanto, sull’ampia valle si affacciano dagli opposti versanti le antiche sagome dei centri arroccati sulla cima dei colli: Morra de Sanctis sulla sinistra, e più lontano il profilo piramidale di Cairano; in realtà Cairano così come l’Abbazia del Goleto è stata oggetto di un  progetto di riqualificazione, dal nome “Cairano 7xâ€. Superato il colle di Conza, dopo un ulteriore restringimento della valle, ecco Calitri, la Positano dell’Irpinia, centro popoloso e attivo e rinomato fin dalla sua antichità per le sue ceramiche. Ma questo paese costituirà il nostro prossimo appuntamento.
Fioravante Conte