La portata vera, lo sa la CGIL, lo sa la FIOM, lo sanno persino anche i singoli lavoratori è quella mediaticamente deflagrante che si può avere solo oggi, in questo preciso momento. La sentenza è il suggello con bollo e timbro ufficiale della Repubblica Italiana che non si può impunemente fare tutto e ancora di più in nome di quel capitalismo che considera le persone poco più che carne da macello da mattare come e quando fa piacere al ‘marchionne’ di turno
Da ieri una cosa è certa: il giudice del lavoro di Roma ha accertato il comportamento discriminatorio di Fiat e ha condannato il Lingotto alla ‘riassunzione’ di 145 operai tesserati Fiom. Su 2.200 lavoratori ‘riassunti’ a Fabbrica Italia non c’è nessun iscritto a Fiom. Ciò premesso, è chiaro che i commenti si sprecano e si sono già abbondantemente sprecati. Ne riportiamo alcuni giusto per dare un idea del tenore degli stessi.
“La sentenza sana una ferita ma non risolve i problemi complessivi aperti perché come vengono garantite le tutele e i diritti dei lavoratori a Pomigliano devono essere garantiti in tutti gli stabilimenti Fiat”, è stato il commento del segretario generale della Fiom, Maurizio Landini che si rivolge quindi a governo e forze politiche perché “garantiscano i diritti sanciti dalla Costituzione a qualsiasi. ” Si è ricostruito il diritto dei lavoratori di Pomigliano di scegliere liberamente il sindacato che vogliono e di non essere discriminati o selezionati nell’assunzione in base alla tessera sindacale che hanno”, ha commentato il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Airaudo aggiungendo: ” si è riaffermato il diritto civile e democratico e Fiat ha sbagliato e perso tempo, che avrebbe potuto dedicare a nuovi prodotti e alle vendite, a dividere i sindacati e i lavoratori. Il consenso – conclude – non si costruisce con l’autoritarismo”. La sentenza che condanna il Lingotto “è una buona notizia” che dimostra come siano “inaccettabili le scelte di Fiat” e il suo “modello autoritario che vuole cancellare il sindacato in ragione della critica al suo modello organizzativo”, dice la leader Cgil, Camusso.
“Ancora una volta un tribunale sanziona lo stile discriminatorio della Fiat di Sergio Marchionne. La violazione di diritti fondamentali dei lavoratori non è compatibile con la democrazia e con la modernità “, scrive su Twitter Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà .
E la Fiat che dice? Marchionne dal ‘retiro’ made in USA non ha fatto sentire la sua autorevole voce? Professori ed eminenti economisti o giuslavoristi non hanno affidato alle veline il loro pensiero?
Dall’ azienda un secco ‘no comment’ che ha voluto porre l’accento solo sul fatto che si farà subito ricorso contro la sentenza. Il ‘ neo-guru in maglioncino di cashmere del decantato new deal da Torino nel mondo- ha preferito finora tacere, come scelta di marketing comunicazionale vincente. Gli esperti si sono un poco ecclissati e hanno detto che bisogna aspettare le motivazioni della sentenza per commentare i contenuti. Sulla stessa posizione anche il ministro Fornero per parte del governo, che non si sa cosa c’entri ma parla.
Il solito bailamme all’italiana e niente di nuovo sotto il sole. La sentenza c’è ma non verrà applicata fra ricorsi e controricorsi se non fra qualche anno quando sarà stata abbondantemente annacquata dal tempo. La portata vera, lo sa la CGIL, lo sa la FIOM, lo sanno persino anche i singoli lavoratori è quella mediaticamente deflagrante che si può avere solo oggi, in questo preciso momento. La sentenza è il suggello con bollo e timbro ufficiale della Repubblica Italiana che non si può impunemente fare tutto e ancora di più in nome di quel capitalismo che considera le persone poco più che carne da macello da mattare come e quando fa piacere al ‘marchionne’ di turno. Esiste, ancora, malgrado politici e giuristi neo-capitalisti dell’ultima e della prima ora stiano facendo il loro meglio per distgruggerne anche le tracce, in italia lo ‘Jus’. Quel diritto del lavoro che ci ha visto essere culla di civiltà e che ora qualcuno da Detroit vuole insegnarci che non va più, non è più di moda, ‘non possiamo più permettercelo’. E’ proprio quel manager iperpagato ed idolatrato più del dovuto e del necessario a dover riflettere: forse quello che sbaglia è proprio lui.
Gianni Tortoriello