(Adnkronos) – Emanuele Pozzolo, il deputato di Fdi finito nei guai per il colpo partito dalla sua pistola la notte di Capodanno, “quando ero presidente di An, lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Il suo caso non finì sulla mia scrivania, ma se ne occupò Donato Lamorte, capo della mia segreteria politica. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare”. A raccontarlo è Gianfranco Fini, in un’intervista a Il Foglio.
A chi gli domanda se in Fdi ci sia un problema diffuso di classe dirigente, “c’è sempre quel vecchio proverbio – risponde – dell’albero che quando cade fa più rumore della foresta che cresce. Tra il goliardico e l’approssimativo i casi sono pochi. I parlamentari di Meloni sono circa 150: finora quelli, diciamo, irregolari saranno cinque o sei”. “Una buona prova” quella di Giorgia Meloni in conferenza stampa di fine anno, diventata di inizio per via dei due rinvii: “Sicuramente ha dimostrato di essere preparata, ha risposto in modo preciso alle domande.
E’ stata abile su un’eventuale Ursula bis dividendolo le alleanze in Parlamento dalle scelte della Commissione, ma anche sull’intelligenza artificiale”, il giudizio di Gianfranco Fini. L’auspicio del fondatore di An è che “la destra italiana sia sempre più convinta dell’irreversibilità di alcune scelte, non solo sull’atlantismo, nonostante la variante preoccupante di un ritorno di Trump, ma anche sull’europeismo, propositivo e non passivo”.
A chi gli domanda se Meloni debba aprirsi dopo le europee lanciando il partito unico dei conservatori, “la mia svolta di Fiuggi – ricorda – nacque dalla volontà di ridefinire i valori culturali della destra, ma anche per disporre della collaborazione di quegli elettori che a partire dalle comunali di Roma, nel ‘93, ci segnalarono l’inizio di un nuovo mondo: la Dc si era sciolta. Meloni, invece, è già arrivata al 30 per cento. Ora si tratta di rendere questo voto non solo un elemento di forza nei confronti della sinistra, ma di disporre della collaborazione della cosiddetta società civile. Ma con attenzione”.
Dunque una nuova Fiuggi per Meloni? “Non spetta a me dirlo. Di sicuro vanno aperte le porte – osserva Fini -, servono energie nuove stando accorti alle persone, verificandone gli intendimenti politici”. Per l’ex vicepremier e presidente della Camera, “certi processi sono irreversibili. Il brand è lei e le europee lo confermeranno. Il che non vuole dire che non debba migliorare la sua classe dirigente, ma Giorgia non ha fretta né bisogno di strappi repentini.
Deve essere più liberale, questo sì, a partire dai diritti” perché “se rappresenti il 30 per cento degli elettori devi essere più liberale e devi capire che la scienza è sempre più avanti della politica: va più veloce. Così come la coscienza del paese che spesso distacca la politica, sorpassandola”.
Quanto all’ipotesi di archiviare la fiamma dal simbolo, “la fiamma è simbologia: non è un dibattito risibile, ma è riduttivo da fare sui social. Di sicuro il simbolo è un biglietto da visita di un progetto. E adesso credo che vada definito il progetto di destra di governo”. Quindi non ci sarebbe alcun dramma? “Fui io a tenerla in An, ma credo che questa discussione sul simbolo vada inserita in un dibattito molto ampio senza posizioni preconcette né ideologiche”.
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