Intervista al prof. Ernesto Paolozzi, docente di filosofia contemporanea,
per scoprire quanta ‘politica’ c’è in questa campagna elettorale tra personalismi e slogan
Ernesto Paolozzi, napoletano classe 1954, è docente di filosofia contemporanea presso l’Università suor Orsola Benincasa, componente del comitato scientifico della fondazione Luigi Einaudi, di cui è stato anche direttore scientifico, e docente presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Liberale, Paolozzi è autore di saggi di interesse filosofico e politologico; collabora con le redazioni di importanti riviste e quotidiani, tra i quali Corriere della Sera e Repubblica.
Professor Paolozzi, l’onorevole De Luca sta improntando la propria campagna elettorale sulla discontinuità col decennio bassoliniano. Nei suoi manifesti non compaiono i simboli dei partiti della coalizione, nè tanto meno quello del proprio. Forse il miglior termine per spiegare questo processo è “rimozione”. Lei come spiega questa scelta?
Da un punto di vista politico capisco De Luca. Sarebbe però più corretto riconoscere la continuità con quanto di buono fatto nelle due legislature di Bassolino, perché qualcosa di buono è stato fatto, e poi spiegare la discontinuità . Ma ora a discorsi più complessi si preferisce un’immagine istantanea, tant’é che in Italia, per fare un esempio, da due anni si discute di Berlusconi come se fosse una novità del dopo Prodi.
Allo stesso modo Caldoro, che per certi versi in questo ha gioco facile, sta centrando la propria campagna elettorale sulla presa di distanza dagli ultimi governi di centro-sinistra, piuttosto che sull’esposizione del proprio programma.
Penso, da un punto di vista strategico, che una campagna elettorale vada fatta sempre sul positivo. In Europa e nel mondo vince chi propone la novità , come Obama. D’altronde proporre una novità è quello che fece Berlusconi fondando Forza Italia dopo Tangentopoli, o Prodi creando l’Unione. Queste campagne elettorali, invece, impoveriscono il discorso, e questa diventa una politica che non entusiasma.
In questa campagna elettorale emerge, inoltre, un elemento paradossale. Entrambi i candidati vantano un alto grado di innovatività e discontinuità , ma entrambi, nel farlo, prestano il fianco a facili critiche: l’uno perché a capo della stessa coalizione del predecessore, l’altro perché, incorporando De Mita e l’Udeur, ne ha fatto propri importanti settori. Crede sia stata una scelta valida puntare tanto su questi argomenti?
E’ difficile rispondere, qui nessuno si vuole fare maestro, ma gli strateghi delle due campagne non sembrano aver colto nel segno. E poi l’idea di votare il meno peggio non può andare avanti: così non si costruisce il futuro. Anche perché gli argomenti da affrontare ci sarebbero: si sta preparando il federalismo fiscale che, nel bene o nel male, stravolgerà l’amministrazione pubblica italiana, eppure non se ne parla. Si dice tanto “noi siamo gli uomini del fare”. Ma fare cosa? E’ bene che i giovani escano dalla logica dello slogan facile, come il richiamo al valore dell’efficienza. Ma in che senso? Anche la dittatura cinese quando censura è efficiente, anche la malavita quando spara è efficiente. De Luca e Caldoro sono due ottime persone, ma è il clima politico che non aiuta il dibattito.
Forza Nuova, Federazione delle Sinistre, Movimento Cinque Stelle. Qual è il loro peso? Chi può essere l’outsider?
Non ci sono grandi novità . I due movimenti a destra e a sinistra sono nostalgici di culture ormai inattuali, ora che serve il riformismo europeo. Per quanto riguarda la lista di Grillo, credo che il fenomeno dell’antipolitica distrugga il tessuto sociale. “Noi siamo gli onesti”: torniamo al discorso degli slogan facili. Poi non si capisce in che direzione vogliono guidare lo sviluppo della regione, come intendono affrontare i grandi temi. Distolgono dalla vera politica la quale, quando sarà caduta la polemica, si potrà trovare solo nei grandi partiti.
Caldoro è sempre stato dato favorito dai sondaggi, e continua ad esserlo. Eppure le proiezioni di voto fotografano una lenta rimonta di De Luca, il quale ha ridotto il proprio svantaggio di circa 7 punti percentuali passando da -12% a -5%. Crede che le urne possano riservarci sorprese?
Il centro-destra rimane in vantaggio. Ormai anche in Italia le campagne elettorali si riducono agli ultimi quindici giorni. Non esistono più i partiti e i sindacati che radicano il voto, bensì l’opinione pubblica si orienta solo nelle ultime settimane tramite la Tv. Così fanno i giovani poco interessati alla politica, o gli anziani, per esempio. La vera campagna comincia in questi giorni, ma, ribadisco, il centro-destra rimane in vantaggio.
A tal proposito, è prevista la venuta a Napoli di Berlusconi giovedì 18 marzo. Ritiene che questa visita faccia parte della routine pre-elettorale, o serva piuttosto a puntellare un candidato di centro-destra ora più incerto?
Ritengo che Berlusconi sarebbe venuto a Napoli comunque. In questo momento in realtà il problema del voto è a livello nazionale. Il Pdl, avendo dato con il problema delle liste l’impressione di essere un partito disorganizzato, sta subendo una leggera flessione. Per il premier il coinvolgimento personale rimane un’arma a doppio taglio: se il centro-destra perde, infatti, la responsabilità sarà anche sua, come lo è ora per Sarkozy in Francia.
In chiusura, si nota come De Luca, tanto bistrattato da politici della sua stessa area, definito farabutto perché inquisito, uomo di destra e berlusconiano, sembri piacere all’elettorato. Qual è il suo segreto?
Il segreto? Pare proprio che ai napoletani piaccia tanto “l’uomo solo al comando”, riprendendo un modo di dire che un tempo si usava per Coppi. D’altro canto è già stato così per Lauro, e per Valenzi. Non so quanto questo sia un bene, in generale, e quanto possa poi aiutare De Luca, rimanendo pur sempre la sua provenienza da una certa coalizione.
Roberto Procaccini
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