Come relazionarsi con questi adolescenti “fragili e spavaldi”, secondo la definizione dello psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet e quali sono le risposte che il mondo scolastico offre a questi ragazzi che, il maestro di strada Marco Rossi Doria, definisce “ultraprotetti”?
A questi interrogativi hanno provato a rispondere a Educa, il festival dell´educazione, i due protagonisti presentando una delle soluzioni adottate in Trentino, il progetto Campus, la cui proposta formativa è sintetizzata in un libro appena edito da Iprase.
Il maestro di strada ed esperto di politiche educative Marco Rossi Doria ha raccontato innanzitutto la sua esperienza in Trentino: “in una delle scuole di formazione del Trentino era successo un episodio peculiare. Mi vennero quindi a chiedere una mano per cercare di capire la situazione. Io venivo da una terra dove si parla tanto e mi sono trovato qui dove, nella mia percezione, non si parlava. Vedevo persone che arrivavano da tutto il mondo per conoscere le scuole professionali e imparare a ‘fare con le mani’. Ognuno di questi centri di formazione è una comunità, ha una sua storia pedagogica, ha un sistema di relazioni interne ed esterne – ha proseguito Rossi Doria -. È stato un incontro antropologico, fra esperienze e linguaggi diversi. L’innovazione del sistema scolastico è un percorso urgente nel Paese, ma non sempre il pubblico mette a disposizione il budget necessario, il Trentino questa scelta l’ha fatta, altri posti no”. E uno dei progetti avviati è stato proprio Campus raccontato davanti ad una platea attenta e numerosa, composta di molti ‘addetti ai lavori’.
“Quando mi sono imbattuto in questo progetto sono rimasto sbigottito dalla genuinità, dalla semplicità delle proposte e delle metodologie con cui si cercavano di realizzare obiettivi altissimi. Ritengo sia indispensabile che si ricrei l’alleanza educativa fra scuola e famiglia e che la scuola riacquisti significato simbolico ed istituzionale.
Per fare questo il progetto Campus è partito dal concetto di gruppo: ad esempio per creare relazioni stabili ai ragazzi della prima viene chiesto di fare tutti assieme, all’inizio della scuola, una vacanza di una settimana in montagna, al contempo i genitori sono invitati a presentare dal vivo il loro figlio alla scuola”. I due esperti quindi si sono soffermati sulla cosiddetta “area gialla” di Campus, ovvero un laboratorio dove vengono ospitati i ragazzi che non dimostrano il concetto di limite, non più quindi un’esclusione, un’espulsione dai processi educativi, quanto un’inclusione.
“Quando ero giovane c’erano i collegi, non certo l’area gialla – spiega Pietropolli Charmet -. I ragazzi non avevano scampo: avevano paura dei castighi, che all’epoca esistevano, e soprattutto dovevano sentirsi in colpa, a priori. Oggi non si può più fare paura ai ragazzi, il repertorio tradizionale è in soffitta, quindi ciò che conta è valorizzarli, far loro capire che sono pensati. L’area gialla introdotta col progetto Campus è un’esperienza educativa individualizzata, una sorta di “ospedalino” educativo intensivo dove il soggetto viene”.
“Ai miei tempi – ha aggiunto Rossi Doria – l’area gialla non serviva, mio papà era d’accordo con il mio maestro e se prendevo un voto basso ricevevo un sacco di sberle. Oggi invece i ragazzi sono pochi, circondati da zii, parenti, genitori e solo quando arrivano a scuola si accorgono che ci sono altri come loro. Un tempo vi erano fratelli e sorelle, vi era il quartiere, dove si poteva sperimentare una socialità spontanea, oggi solo la scuola è il posto della socialità.
Ebbene, Campus ci offre ulteriori occasioni di socialità non direttamente legate a ciò che si apprende in un percorso finalizzato”. Se Campus sia o no esportabile è tutta un’altra questione. Per Rossi Doria si potrebbero esportare alcune esperienze, come il rapporto più stretto fra mani e mente: “Sicuramente esporterei la formazione professionale nei licei”. Per Gustavo Pietropolli Charmet si potrebbe invece: “trasferire buona parte del repertorio di Campus nelle scuole medie, perché lì non ci sono ancora discipline definite, con le quali fare i conti.
Quando presento Campus in altre realtà mi chiedono dove sia stato applicato e immaginano Svezia e Danimarca. Io rispondo nel nostro Paese, però in una realtà Autonoma”. Infine, sulla nostalgia del tempo passato: “Dobbiamo capire che non si può ripristinare la vecchia scuola – sono le conclusioni di Marco Rossi Doria -, con la nostra struttura demografica e coi profondi processi antropologici che attraversano la società non possiamo utilizzare il metodo del mio vecchio docente di ginnasio.
Bisogna quindi prima ridare una funzione fondamentale all’adulto guida e poi porre ai nostri ragazzi la questione del limite, senza la quale l’umanità non va da nessuna parte: questo perché da un lato siamo essere morenti e il limite esiste per ciascuno, dall’altro perché il limite è implicito nel nostro stesso pianeta”.