Ferire con le parole una persona disabile è possibile. A volte basta una piccola disattenzione, una scelta lessicale sbagliata e chi ci ascolta si sente emarginato. Non è sempre intenzionale eppure il buco nella parete resta. Come scegliere i termini giusti per non offendere la sensibilità di una persona disabile? La strada è presto indicata da CBM Italia Onlus. L’associazione umanitaria impegnata nel campo della disabilità e dell’inclusività ha, di recente, pubblicato un glossario su discriminazione e inclusione. Un piccolo opuscolo che riporta i termini giusti e sbagliati con i quali parlare alle persone disabili. Massimo Maggio, direttore di CBM Italia Onlus, ci racconta com’è nato il progetto svelandoci qualche dettaglio in più.
Massimo Maggio, in questi anni di definizioni per una persona che non è in grado di vedere ne abbiamo sentite tante: non vedente, videoleso e oggi persona cieca. Lo stesso dicasi per chi non può sentire: non udente, audioleso e oggi persona sorda. Che percorso è stato fatto per arrivare fino a qui?
Il percorso che ha portato CBM Italia all’elaborazione del Glossario su discriminazione e inclusione è legato a un percorso di riflessione e approfondimento dei temi della disabilità e dell’inclusione che nei mesi scorsi abbiamo proposto attraverso una serie di incontri online gratuiti rivolti ad adulti e ragazzi, per promuovere una cultura dell’inclusione, della solidarietà e che tenga sempre presenti i diritti delle persone con disabilità. L’idea del Glossario è il risultato di questo percorso, al termine del quale ci è sembrato utile elaborare un vademecum che potesse essere messo a disposizione di tutti coloro che desiderano imparare a utilizzare e scegliere i termini e le espressioni adatte quando si parla di disabilità, oltre che un’ottima opportunità per riflettere insieme sul significato profondo dei termini che utilizziamo o ascoltiamo quotidianamente.
Il glossario contiene nella seconda parte le espressioni sbagliate messe a confronto con quelle giuste. Ci faccia un esempio pratico e ci spieghi perché l’una è sbagliata e l’altra giusta.
Prendiamo per esempio la parola disabile o i vocaboli che indicano i tipi di disabilità: a questi sono da preferire termini come “persona con disabilità” oppure “persona disabile”, poiché sono espressioni che mettono al primo posto la persona mentre la sua disabilità è solo una caratteristica, cioè una delle possibili condizioni che un essere umano può vivere. Chiarire tutti questi concetti permette di evitare le generalizzazioni, riducendo le persone a categorie omogenee, senza distinzioni.
In che modo state diffondendo questo glossario dell’inclusività?
Stiamo diffondendo il Glossario attraverso i nostri canali di comunicazione, i social e il sito internet cbmitalia.org dove è possibile consultarlo e scaricarlo.
Nella sua esperienza cosa fa sentire subito accolta e a suo agio una persona con disabilità?
Dal mio punto di vista la cosa importante è partire dall’assunto che ogni individuo prima di tutto è una persona, un essere umano unico e irripetibile. Per questo motivo credo che l’utilizzo dei termini corretti sia un modo per accogliere, oltre che un importante gesto di consapevolezza che ci permette di tenere presente il senso profondo e l’impatto che le parole possono avere nella relazione con l’altro; nessuno infatti vorrebbe essere identificato sulla base di una sola delle sue caratteristiche/dimensioni, come spesso avviene invece a chi ha una disabilità. Per questo motivo suggerisco di impegnarci a usare le parole nel modo più rispettoso possibile, per far sì che diventino le fondamenta del mondo inclusivo in cui abitare tutti insieme.