Fatih Akin è il quarantunenne regista tedesco di origini turche che quest’anno, insieme a Bertrand Tavernier, è l’ospite internazionale del sedicesimo Festival del Cinema Europeo a Lecce. E’ nelle sale italiane proprio in questi giorni il suo ultimo film Il Padre che racconta la storia di un armeno perseguitato dai Turchi che dopo anni dal genocidio del 1915, va alla ricerca delle sue due figlie perse durante i massacri, viaggiando anche fino a Cuba e negli Stati Uniti. Il Padre è l’ultimo progetto di una trilogia: amore,morte e diavolo. I due film precedenti che fanno riferimento alle prime due tematiche sono La sposa turca del 2004 che vince l’Orso d’oro a Berlino; e Ai confini del paradiso del 2007 che vince a Cannes il premio per la miglior sceneggiatura.
La sposa turca è ambientato ad Amburgo, città dove Akin nasce nel 1973 da genitori turchi immigrati negli anni sessanta. Il rapporto tra le origini turche e il territorio di immigrazione e integrazione è alla base dei lavori del regista per cui il contesto tedesco, quindi occidentale, ha molta rilevanza. E’ la storia di Cahit Tomruk (immigrato turco ad Amburgo) e Sibel Güner anche lei nata da genitori turchi conservatori e ortodossi , causa delle sue maggiori frustrazioni, che la confinano in uno stato d’animo di costante sofferenza per la gabbia in cui le regole della tradizione familiare la rinchiudono portandola a tentare anche il suicidio. Nel momento di maggiore stanchezza per la vita i due si incontrano e si innamorano dopo un primo momento in cui tra di loro si pattuisce solo un semplice accordo: un matrimonio di convenienza che libererebbe Sibel dalla rigidità della famiglia e aiuterebbe Cahit a non rimanere completamente allo sbaraglio per il tormento di cui è preda dopo la scomparsa della moglie. Diventano così due semplici coinquilini all’insaputa dei più, conducendo vite autonome, soprattutto per Sibel che finalmente esplode di indipendenza e libertà in un Amburgo punk e provocatoria. Purtroppo proprio quando i due scoprono di essere innamorati una tragedia involontaria li separa, ma il miracolo dell’amore sarà già accaduto e le loro vite non saranno finite.
Sibel aveva così voglia di libertà da non considerare le conseguenze delle sue azioni nel contesto sociale, la gabbia, il controllo che rimane nonostante l’allontanamento dalla famiglia, nonostante la messa in scena di un comportamento secondo le regole. Non aveva considerato le altre persone: gli amanti, gli amici, tutti coloro che hanno reso possibile l’espressione della sua libertà ma che rappresentano quel limite di realtà che come un trauma le ritorna addosso quando Cahit commette un errore che pagherà per anni, per lei, per l’onore che la comunità lo ha costretto a difendere nonostante loro due siano diversi da tutti gli altri, diversi nella concezione dei valori. L’amore secondo Fatih Akin dunque, al di là di ogni convenzione, al di là di ogni episodio significativo della vita che sembra condannarci alla sofferenza e alla solitudine ma che viene superato in un modo o nell’altro.