Un padre e una madre trasmettono al proprio figlio un sapere complesso e la cura elargita arricchisce tutta la famiglia perché, in fondo, la positiva trasmissione valoriale ed esperienziale è un dato di fatto, antico come il mondo, che non tramonterà mai.La famiglia e il suo tessuto da sempre fulcro di ogni sana società sono, spesso, soggetto ideale per raccontare e simboleggiare la vita sul grande schermo.
E’ di questi giorni l’uscita nelle sale italiane del film nipponico Soshite Chichi Ni Naru (Father and son) che, con sana leggerezza, presenta gli equilibri genitoriali in situazioni paradossali. A metà tra dramma e commedia il film racconta la storia di Ryota un professionista di successo, abituato a vincere sul lavoro e nella vita. Un giorno, lui e la moglie scoprono che sono stati vittima di uno scambio di neonati. Il loro Keita, sei anni è, in realtà, il figlio biologico di un’altra coppia, che sta crescendo il loro vero figlio in condizioni sociali disagiate. Ryota è chiamato, quindi, a scegliere tra il figlio naturale o il bambino che ha cresciuto e amato per sei anni. Tutta la storia ruota intorno ad una semplice domanda: quanto conta la nascita biologica in un rapporto affettivo?
Nel film la causa dello scambio di culla è la «vendetta di classe» di una infermiera dell’ospedale dove i neonati sono nati ma, in realtà, il Giappone degli anni settanta è stato teatro di situazioni del genere. Il regista Kore-eda sceglie un approccio controllato e minimalista, evitando drammoni esasperati e si concentra sulla scena, fotografando gli attimi di smarrimento dei protagonisti con un coinvolgimento che fa riflettere in modo diretto lo spettatore. Lo sguardo, puntato sui legami affettivi e le dovute frustrazioni che la scelta da affrontare comporta, diventa un viaggio introspettivo in cui Ryota, da padre autoritario e determinato, si ritrova alle prese con i sentimenti più veri che un individuo vive: l’amore paterno.
Resta da contorno la contrapposizione scenica che balza agli occhi. Da un lato la vita bella ed elegante di Ryota e della sua famiglia, dall’altra la condizione umile di gente di bottega che condiziona l’altro padre Yudai e i suoi. Vite che si conoscono per caso per poi perdersi? La regia, abile nel bilanciare i pesi senza pregiudizi, è raccontata con delicatezza e sensibilità, puntando uno sguardo vero e forte sui due bambini, protagonisti inconsapevoli. Attraverso le reazioni delle due famiglie e il turbamento dei due piccoli il film accompagna, secondo tradizione, alla riscoperta dell’amore come chiave universale che lega più di ogni legame di sangue.
Un film di sentimenti, ma soprattutto una riflessione autentica sulla genitorialità e sulle sue responsabilità. Semplice e composto risulta ideale per le famiglie ma anche per chi desidera confrontarsi con la cultura e lo stile inconfondibile di Kore-eda.