Nuovo allarme giovani. Oltre il 26,9%: più di un quarto del totale dei ragazzi tra i 15 e i 34 anni non studia, non lavora e non è in un percorso di formazione. Lo rileva l’ultima ricerca dell’Eurostat, sottolineando che dopo i greci sono i giovani italiani quelli che se le passano peggio in Europa. La percentuale di Neet, acronimo inglese di “Not (not in education, employmentor training), cioè persone non impegnate nello studio, né nel lavoro e né nella formazione, individui nella fascia d’età 15-34 anni che non studiano né lavorano è aumentata di oltre cinque punti.
Nella media 2015 i neet under 35 in Italia erano il 25% del totale dei giovani (17,3% la media nell’area euro), percentuale inferiore solo alla Bulgaria e alla Grecia. Una zona grigia che riceve poca o nessuna attenzione da parte delle istituzioni, e che non è semplice esplorare ma che ha ormai raggiunto dimensioni preoccupanti e non solo in Italia. Secondo il Global opportunity report 2016, un’indagine condotta a livello globale da Dnv Gl, dal Global compact delle Nazioni Unite e da Monday Morning, nel mondo i giovani che oggi non stanno né studiando né lavorando sono 75 milioni, circa un quarto di tutti i ragazze e ragazze che oggi abitano il mondo.
Una percentuale che è destinata ad aumentare, se non prenderanno provvedimenti, vista la crescita demografica ancora in corso. L’indagine che ha prodotto il Global opportunity report 2016 ha coinvolto oltre 5.500 rappresentanti del mondo delle aziende, del governo e della società civile, e la disoccupazione giovanile è risultato essere il rischio che preoccupa di più tra quelli presi in considerazione raccogliendo il 42% delle indicazioni, precedendo quelli legati all’accelerazione delle emissioni dai trasporti (21%), la crisi mondiale del cibo (14%), la resistenza ai farmaci salvavita (15%) e la perdita della biodiversità degli oceani (8%).
Secondo il rapporto le principali armi per combattere la disoccupazione dei giovani sono tre: incubare l’imprenditoria giovanile, sviluppare un mercato del lavoro digitale, coordinare competenze e mercato. Nel 2020, si legge nel report, a livello globale mancheranno 40 milioni di lavoratori con istruzione terziaria, nelle economie in via di sviluppo ne mancheranno 45 milioni con istruzione secondaria e ci saranno 95 milioni di lavoratori con istruzione di base in più rispetto a quelli che servono; si tratta di dati con cui cominciare già oggi a fare i conti, e a oggi l’Italia non è affatto ben posizionata per raccogliere la sfida.
Come documenta ancora l’Eurostat, nella fascia d’età 30-34 anni l’Italia ha la popolazione con educazione terziaria più bassa d’Europa, con paesi come Romania e Malta che vantano performance migliori delle nostre.
Al contempo, nel Bel Paese la popolazione (18-24 anni) che si è fermata alle medie inferiori e non partecipa ad altri corsi di formazione arriva al 14,7% del totale, la quarta più grande dell’Unione europea. Si tratta di un quadro scoraggiante che collima però perfettamente con un tessuto economico e produttivo che non valorizza neanche le competenze acquisite: l’Italia ha sia il più basso tasso d’occupazione tra laureati nei paesi Ocse, sia la quarta peggiore performance d’Europa tra i giovani 20-29enni diplomati e occupati.
Alla luce del report 2016 della Global opportunity, è importante e urgente pensare a misure di sostegno al reddito e a un lavoro minimi. Altrimenti nel prossimo decennio, un altro miliardo di giovani che si affacceranno al mondo del lavoro che cosa faranno?