La morte è l’attimo in cui si lascia la vita; il trapasso dall’ essere al non essere. Dallo stare al non stare; dal vivere al non vivere. L’ Eterno dilemma: chi soffre di più, chi resta o chi muore?
In Euridice ed Orfeo, c’ è il dramma della morte, e la palese sofferenza di chi resta e non si dà pace. L’assenza è il nodo più difficile da sciogliere di fronte alla perdita. Orfeo non capisce, immagina, suppone, si dilania con il suoi pensieri che si sovrappongono a dubbi, paure, incertezze. Lei era qui fino a un minuto prima, e se non era qui, era in un altro luogo, ma era. Seduta su una roccia, distesa sul prato: Orfeo la vede Euridice, sente il suo odore tra gli abiti appena dismessi, osserva l’altalena che aveva appeso al ramo per il figlio che sarebbe arrivato. Non può credere che Euridice è perduta. Dov’ è colei che c’era fino a poche ore prima. Allo specchio Orfeo guarda con attenzione, fissando lo sguardo su di sé, e si vede solo, solo con il suo destino. Euridice, invece, può vedere entrambi, e ritrovarsi viva accanto a Orfeo, viva nel ricordo e nell’amore che lui le conserva. E’ sicuramente un espediente di Eros per rendere tollerabile la vita di chi rimane nell’assenza di chi non è più.
L’ autrice Valeria Parrella rielabora così il mito di Orfeo ed Euridice proponendone una lettura in chiave contemporanea. Ho scritto – dice l’autrice – una novella che diventa un testo teatrale, una storia non realistica: piuttosto orientata alla filosofia e alla psicologia della perdita e dell’elaborazione del lutto. L’ opera a tre voci, diretta da Davide Iodice lascia la parola alla parola, ascoltando il suono-senso delle parole nella voce viva degli attori, ha inteso che tutta la bellissima prosa-poetica del testo fosse quel canto di Euridice e Orfeo.
Si è tentato di restituire alla Parola il suo potere ipnotico, evocativo: la sua emozione. Per il resto, questo e? Una dichiarazione d’amore eterna.