Il fianco orientale dell’Etna subisce un continuo “scivolamento” verso est e uno dei “binari che guidano” il movimento è la faglia della Pernicana che rappresenta il limite settentrionale della porzione instabile del vulcano.
Lo rivela una ricerca dal titolo “Repeating earthquakes and ground deformation reveal the structure and triggering mechanisms of the Pernicana fault, Mt. Etna” pubblicata sulla rivista ‘Communications Earth & Environment’ del gruppo Nature.
Lo studio è stato elaborato da un team di ricercatori dell’Università di Catania (Andrea Cannata, Adriana Iozzia, Stefano Gresta), dell’INGV- Osservatorio Etneo (Salvatore Alparone, Alessandro Bonforte, Flavio Cannavò, Andrea Ursino), dell’Università di Bologna (Eleonora Rivalta) e del GFZ German Research Centre for Geosciences di Potsdam (Simone Cesca).
Il team di ricercatori ha studiato la sismicità generata dal sistema di faglie nel corso di 20 anni (dal 2000 al 2019) e ha scoperto come per l’Etna la faglia della Pernicana generi un grande numero di “multipletti” (anche detti repeating earthquakes), cioè terremoti che si ripetono, anche a distanza di anni, identici a sé stessi in termini di localizzazione, meccanismo di sorgente e sismogramma.
Una caratteristica comune a sistemi di faglie molto attivi quali la faglia di San Andreas in California che permette di ricostruire nel dettaglio la dinamica delle faglie e, quindi, di capire come, quando e di quanto si muovano.
«Mediante lo studio dei multipletti e grazie all’integrazione dei dati sismici con dati di deformazione del suolo, che sono acquisiti da antenne GPS distribuite lungo i fianchi del vulcano e misurano le variazioni nella forma del vulcano, è stato possibile suddividere la faglia della Pernicana in diverse porzioni che mostrano comportamenti differenti in termini di sismicità e deformazione del suolo – spiegano i ricercatori -. In particolare è stato notato come la porzione occidentale della faglia, prossima ai centri eruttivi sommitali, mostri una notevole “segmentazione” in profondità. La porzione centrale, invece, è caratterizzata da un’unica netta superficie di faglia, la cui sismicità è prevalentemente associata ai multipletti. La porzione orientale della faglia, invece, è quasi asismica, non mostra praticamente sismicità».
«Lo studio dei tempi di ricorrenza dei multipletti ha mostrato mancanza di periodicità e basso grado di regolarità in termini di accadimento temporale dei terremoti – aggiungono i ricercatori -, questo suggerisce come il movimento della faglia, e quindi lo scivolamento del fianco orientale dell’Etna, non derivi da una sollecitazione costante e permanente (come si verifica invece lungo la faglia di San Andreas in seguito allo spostamento relativo tra le placche tettoniche), ma piuttosto da fenomeni scatenanti di natura episodica, legati per esempio alla risalita dei magmi.
La risalita pressurizza il sistema di alimentazione del vulcano con conseguente spinta sul fianco orientale e scivolamento, come macroscopicamente avvenuto, per esempio, durante l’eruzione del 2002-2003».
«Lo studio – concludono i ricercatori – mostra come l’identificazione dei terremoti multipletti e la loro integrazione con misure di deformazione del suolo possano aiutare ad investigare la dinamica e la struttura delle faglie in dettaglio, non solo sull’Etna ma in qualunque sistema di faglie attivo sia in aree vulcaniche che tettoniche».