Circa un milione di italiani è affetto da obesità grave. Ma solo 10.000 pazienti l’anno scelgono di sottoporsi ad un intervento chirurgico risolutore, a fronte di quanti – secondo gli esperti il 99% dei ‘super-obesi’ – potrebbero beneficiarne. E’ quanto emerso a Roma nel corso di ‘It’s time to Act on Obesity!’, workshop durante il quale è stato lanciato l’hashtag #ètempodiagire e al quale hanno partecipato alcuni esperti mondiali nella cura dell’obesità che, solo in Italia, colpisce una persona su 10 (10%), per un totale di oltre 6 milioni di connazionali.
E in futuro le cose sembrano destinate a peggiorare: più di un terzo dei bambini italiani (36% dei ragazzi e 34% delle ragazze) sono in sovrappeso o obesi, rispetto al 23% dei maschi e il 21% delle femmine negli altri Paesi Ocse, come ricorda oggi uno studio su ‘The Economist’. Ebbene, secondo quanto emerso nel corso del dibattito capitolino – organizzato da Johnson & Johnson Medical SpA, durante il Congresso congiunto delle Società scientifiche italiane di chirurgia – l’obesità è una patologia multifattoriale, la cui insorgenza può essere legata a diverse cause: dalle errate abitudini a tavola, a una significativa riduzione dell’attività fisica quotidiana, a fattori genetici e ambientali.
Una condizione complessa, soprattutto se si considera che l’eccessivo accumulo di adipe in molti casi è anche responsabile dello sviluppo di altre malattie correlate come quelle cardiovascolari, cerebrovascolari, il diabete di tipo 2 e alcuni tipi di tumore.
Con costi ‘pesanti’: nel workshop sono stati presentati alcuni dati dell’European Association for the Study of Obesity secondo cui, attualmente, il peso economico annuale dell’obesità in Italia si aggira intorno ai 9 miliardi di euro. Con problematiche che vanno dai disordini del comportamento alimentare, a stati di inquietudine che possono tradursi in ansia e depressione, a disagi psicosociali che passano da un calo del rendimento scolastico e professionale fino alla perdita di produttività. Gli specialisti hanno convenuto come la chirurgia bariatrica sia il percorso di cura più indicato per il trattamento specifico dell’obesità grave.
Ma ancora pochi chiedono aiuto al bisturi, nonostante dal 2007 l’Italia, con 1.064 titoli, sia il terzo Paese al mondo per volume complessivo di pubblicazioni scientifiche sulla chirurgia bariatrica. Un impegno confluito anche nelle nuove Linee guida della Società italiana di chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche. “In Italia la chirurgia bariatrica ha raggiunto un livello tecnico e qualitativo davvero molto elevato, ma il numero degli interventi effettuati è infinitesimale rispetto a quanti ne avrebbero bisogno”, commenta Diego Foschi, ordinario di Chirurgia generale all’Università degli Studi di Milano. “Dobbiamo considerare gli ostacoli organizzativi e normativi che ancora impediscono il pieno accesso dell’obeso alle cure. Mettere al centro il paziente e le sue necessità per costruire intorno a lui un efficiente ed efficace processo di presa in carico”.
“L’obesità rappresenta un grande problema soprattutto per il fatto che su questa malattia persistano idee tanto inesatte quanto diffuse che impediscono lo sviluppo e l’utilizzo di metodi di prevenzione e cura realmente efficaci”, aggiunge Francesco Rubino, direttore della Cattedra di Chirurgia metabolica e bariatrica al King’s College di Londra. “Nonostante le attuali conoscenze scientifiche mostrino chiaramente che il peso corporeo è regolato da un complesso meccanismo biologico solo in piccolissima parte modificabile attraverso la volontà dell’individuo, l’idea di obesità rimane ancorata al concetto semplicistico che si tratti di un problema causato da eccessiva alimentazione e vita sedentaria. Questi sono certamente fattori di rischio, ma non le cause accertate di questa malattia. L’obesità – afferma – è un problema tanto grave quanto frainteso”.
“L’individuazione e la possibilità di accedere a un percorso di cura con il supporto di un team multidisciplinare – dichiara Paolo Sbraccia, presidente Società italiana dell’obesità – è una condizione necessaria per ridurre i costi economici correlati alla patologia e quelli sociali che gravano sulla quotidianità dei pazienti che soffrono di questa malattia”. Vere e proprie barriere, testimonia Marina Biglia, presidente dell’associazione Amici Obesi Onlus, “da cui mi sono liberata grazie a un intervento chirurgico. Un percorso terapeutico grazie al quale – racconta – ho potuto ricominciare finalmente a vivere”.