Il prossimo 31 dicembre scadrà il triennio di sperimentazione del sistema pensionistico “Quota 100” introdotto nel 2019 dal governo Conte 1. Un sistema che diceva addio alla riforma Fornero introducendo come criterio, un determinato equilibrio tra età pensionabile e anni di contribuzione. Ora che la sperimentazione sta per terminare, sostengono i sindacati, il rischio è di tornare a una riforma nata in un periodo, quello degli anni successivi al 2007, totalmente diverso da quello che stiamo vivendo e che si abbatta sui lavoratori il cosiddetto “scalone“.
Cos’è Quota 100
62 anni di età e 38 anni (minimo) di contributi versati. E’ questo il calcolo su cui si è basato Quota 100, il meccanismo che ha consentito ai lavoratori di presentare domanda di pensionamento in questi ultimi tre anni. Hanno potuto accedere a questa nuova riforma tutti i lavoratori dipendenti sia del settore pubblico che di quello privato, i parasubordinati e gli autonomi. Pur essendo 100
il risultato della somma tra 62 e 38, le disposizioni non consentivano di compensare gli anni di contribuzione con l’età anagrafica: in caso di età maggiore ai 62 anni si sarebbe arrivati a una quota superiore a 100. Le stesse disposizioni prevedevano per il provvedimento una durata di tre anni non rinnovabili. Dettaglio che rende urgente l’approvazione di una nuova riforma delle pensioni.
Le proposte dei sindacati
Una riforma alla quale i sindacati vogliono prendere parte attiva e nell’attesa di essere convocati al tavolo delle trattative hanno già avanzato alcune proposte. La prima è quella di consentire l’uscita dal mondo del lavoro a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di versamenti contributivi qualunque sia l’età del lavoratore. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, dal canto suo, ha proposto di consentire il pensionamento ai lavoratori di 62 o 63 anni esclusivamente con la parte contributiva per poi accedere a quella retributiva a 67 anni, l’età ordinaria. Una misura, quest’ultima, che consentirebbe di restare nel mercato del lavoro anche se con altre forme. Per i lavoratori fragili,
quelli che presentano patologie, inoltre, si starebbe pensando a modalità di accesso alla pensione più flessibili che andrebbero oltre l’Ape sociale. Altra categoria, finora mai presa in considerazione, è quella di coloro che svolgono lavori usuranti: che sono impiegati, cioè, alle catene di montaggio o che si trovano spesso a lavorare di notte. Caratteristiche lavorative che provocano un invecchiamento precoce e che i sindacati spingono a considerare. Una riforma completa delle pensioni, sempre secondo il sindacato, dovrebbe non solo stabilire a che età andare pensione ma guardare anche al ruolo di cura delle donne e assicurare una pensione di garanzia ai giovani.
Addio alla riforma Fornero: nuovi criteri per l’età pensionabile
La riforma delle pensioni Fornero fu elaborata dall’allora ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero esponente del governo Monti. Un governo tecnico d’emergenza nato per contrastare gli effetti della crisi finanziaria del 2007 partita dagli Stati Uniti e giunta fino in Europa (crisi per la quale la Grecia pagò un conto salatissimo). Fu una riforma d’emergenza, strettamente legata al momento storico, tesa a contenere la spesa pensionistica e a garantire la tenuta di quella parte dei conti pubblici riferita alle pensioni. Dopo dieci anni (la riforma risale al 2011) e con una pandemia che ha richiesto una visione di prospettiva su molti temi siamo su un piano totalmente diverso.