Secondo una rilevazione Istat nel 2017 l’età media di una donna che partorisce il suo primo figlio si è alzata a quasi 32 anni (31,8 per la precisione). Il numero di figli per ciascun donna in età feconda si riduce a 1,3.
Insomma si fanno figli in età più avanzata e prevalentemente sono quasi figli unici.
PERCHE SI FANNO FIGLI DOPO I 30ANNI
Questi dati sono coerenti con le tempistiche necessarie, per poter costruire una propria stabilità economica. Finita l’Università ci si ritrova a dover affrontare mille ostacoli nel mondo del lavoro, e prima di trovare un impiego stabile, bisogna passare per varie esperienze professionali di precariato.
Cosi per scelta o per necessità si decide di mettere al mondo un solo figlio, perché gli incentivi economici sono pochi e i sostegni a misura delle famiglie insufficienti.
Quando entrambi i genitori lavorano, vanno aggiunte alle spese ordinarie, anche quelle di una baby-sitter che aiuti nella gestione del figlio. Se non si ha la fortuna di avere dei nonni a disposizione che possono prendersene cura, tutto diventa più complicato.
Può capitare infatti che il lavoro si trovi lontano dalla propria città di nascita, e sia necessario allontanarsi dalla famiglia di origine, ritrovandosi così senza aiuti. Questo limita fortemente la possibilità di pensare con serenità ad allargare la famiglia.
Essere madre di un figlio unico, talvolta non è una scelta ma una necessità. Se ci si può permettere a malapena di affrontare le spese necessarie per crescere un solo bambino, con due tutto si raddoppia.
FIGLIO UNICO PER OBBLIGO O PER SCELTA ?
Può anche rivelarsi una scelta obbligata perché la natura talvolta decide per noi. Uno stile di vita frenetico, piuttosto che un’età ormai avanzata non aiuta a mettere in cantiere un altro bimbo. Oggi il progresso scientifico è una speranza concreta alla maternità in età avanzata, ma per chi decide di non forzare la natura, il figlio unico diventa una soluzione obbligata.
La scelta di fare il secondo figlio deve essere esclusivamente della coppia, scevra da condizionamenti sociali e o culturali. Quando metti al mondo il primo figlio, amici e parenti ti chiedono se farai il secondo, quando finalmente avrai il coraggio di fare il secondo ti chiedono il terzo, incuranti delle mille difficolta pratiche ed emotive che una tale scelta porta con sé.
QUANDO SUBENTRA IL GIUDIZIO ALTRUI
L’incauto giudizio degli altri che iniziano a sottolineare la differenza di età tra il primo ed un eventuale secondo bambino e soprattutto la differenza di età della mamma, aumenta le pressioni e l’emotività. La scelta di essere madre di un figlio unico talvolta non è una scelta, ma una necessità o una condizione non volontaria. La stessa gravidanza è un momento di grande cambiamento per la donna, sia fisico che psicologico.
Il corpo cambia, le abitudini e gli stili di vita spesso si stravolgono in funzione del nuovo arrivato.
UNA SCELTA TRA CONVENZIONI SOCIALI
Ancora oggi ci sono dei preconcetti sociali per cui deve essere prevalentemente la mamma ad occuparsi della sua crescita, costringendo molte donne a dover scegliere tra carriera e famiglia. Questa scelta talvolta forzata, porta con sé mille turbamenti.
Le convenzioni sociali creano delle fratture forti, tra le aspirazioni professionali di una donna e le attese nei suoi confronti.
Bisogna essere mamme, mogli, compagne, donne lavoratrici, punti di riferimento per i genitori e per i propri figli. Tutte queste responsabilità pesano come macigni talvolta insostenibili.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) il 45% della popolazione femminile ha un impiego retribuito, mentre gli uomini il 66%. Se si pensa che le donne sono in maggioranza rispetto agli uomini, il divario è ancora più rilevante.
ASSENZA SI TERMINI DI PARAGONE
Essere madre di un figlio unico modifica anche la modalità di essere genitore. Da una parte concentra tutto l’affetto sul bambino, dall’altra triplica su di lui le aspettative. Lo stesso bambino non ha un termine di paragone del comportamento genitoriale con una sorella o un fratello. Le sue reazioni sono il riflesso diretto dei bisogni educativi dei genitori.
Essere madre di un figlio unico, infatti adatta la propria essenza di genitore su un’unica modalità.
Una sorta di “buona la prima” dove l’interlocutore , in questo caso l’unico figlio diventa anche l’unico metro di giudizio della capacità genitoriale.