Pandemia e non solo
Esploratori di ossessioni di Franco Maiullari edito da Gruppo Editoriale San Paolo è l’ultimo saggio del prof. Maiullari, specialista in Neuropsichiatria infantile.
Il saggio è una interessantissima analisi sul mondo delle ossessioni. Forse non molti di noi sanno che tanti comportamenti del nostro quotidiano rientrano in quelle che vengono definite delle vere e proprie ossessioni compulsive. Anche la passione per un’attività, una relazione o un hobby sono considerate ossessioni alla stregua di un tic, una piccola mania o un’abitudine ripetitiva.
Esploratori di ossessioni di Franco Maiullari ci accompagna alla scoperta del nostro quotidiano, svelandoci un mondo fatto di piccoli e apparentemente banali rituali (ad esempio per iniziare bene la giornata) che però celano e svelano molto altro. Spesso, molti atteggiamenti a cui non prestiamo attenzione, sfociano in una vera e propria patologia, facendoci cadere in un circolo vizioso che ci fa percepire il rituale come qualcosa di indispensabile. Scopriremo con il prof. Maiullari che in molti aspetti della vita psichica, esiste una sorta di confine non sempre netto tra il normale e il patologico e che ci spinge a ragionare in termini psicodinamici per trovare in ogni storia di vita il significato dei comportamenti ossessivo-compulsivi.
Franco Maiullari è un medico, specialista in Neuropsichiatria infantile, analista e didatta adleriano SIPI (analisi con Francesco Parenti). Già Direttore del Servizio medico-psicologico di Locarno e del Centro psico-educativo per bambini con patologia dello spettro autistico, si è anche occupato di vittime di reato. Dal 2012 è in pensione, ma continua l’attività di psicoterapeuta a Minusio (Svizzera) dove dal 2016 al 2021 è stato Presidente dell’APIAAM, Associazione Psicologia Individuale Alfred Adler di Milano (attualmente è vice-Presidente). È docente della Scuola di Psicoterapia Adleriana del CRIFU di Milano.
Accanto all’impegno professionale clinico, continua il lavoro di ricerca e di scrittura su temi di psicoterapia, ma anche di filologia, nel cui ambito ha pubblicato vari contributi, i più importanti dei quali sono la traduzione e il commento dell’Edipo Re di Sofocle (con la supervisione dei grecisti Oddone Longo e Ezio Savino) e un lavoro sull’Ulisse dantesco.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare il prof. Maiullari a cui abbiamo fatto qualche domanda in più sulla patologia ossessivo-compulsiva e sui contenuti del suo saggio
Esploratori di ossessioni di Franco Maiullari
Nel suo libro lei affronta le ossessioni a 360°, riflettendo sulla storia e sul significato del pensiero ossessivo attraverso i tempi per poi dare un taglio più clinico e psicoterapeutico. Perché ha scelto di scrivere un libro sulle ossessioni? Ritiene che la pandemia abbia contribuito a svilupparle?
La pandemia, in quanto evento reale, angosciante e protrattosi tanto a lungo, ha inciso sicuramente sullo sviluppo di paure e ossessioni, come ora rischia di avvenire per le notizie catastrofiche legate all’invasione dell’Ucraina. La nostra psiche interagisce sempre con i fatti della realtà e cerca di dare loro un senso, integrandoli il meglio possibile dentro di sé, anche se a volte il senso non è bello, né tranquillizzante.
La salute psichica dipende dalla continua costruzione di questa sicurezza interiore, la quale può essere compromessa da fattori esterni, come quelli menzionati sopra, ma anche da disagi interiori, a volte non facilmente identificabili. Quando qualcuno, per un insieme di queste ragioni, vive dei sentimenti di insicurezza particolarmente forti, si possono sviluppare dei sintomi, ad esempio ansia, depressione, dipendenze, e anche ossessioni patologiche e compulsioni. Se però consideriamo che le ossessioni hanno a che vedere con il fatto stesso di “ripetere”, ci rendiamo conto che le sue radici si trovano già in natura e nel funzionamento biologico con i suoi infiniti ritmi ripetitivi.
La scrittura di questo libro, in fondo, è stata l’occasione per interrogarsi sui rapporti tra le ossessioni normali e ubiquitarie, le personalità con caratteristiche ossessivo-compulsive e le vere e proprie patologie ossessivo-compulsive (DOC).
Nel suo libro lei dice che quando e ossessioni sono accompagnate dalle compulsioni diventano manifestazioni patologiche (disturbi ossessi-compulsivi, DOC) e che a lungo andare diventano anche invalidanti per la persona. Lei però specifica che il fenomeno è molto refrattario alle cure e resistente alla psicoterapia. Ci spiega perché?
Ho detto che le ossessioni sono ubiquitarie e, come dimostrano i molti esempi riportati nel libro – dalla mitologia, alla letteratura, allo sport (si pensi soltanto al tennis), alle stesse espressioni creative (si pensi soltanto a Dante e a Michelangelo) – possono presentarsi sotto le più diverse forme, unite a volte alle compulsioni. I sintomi, in fondo, sono l’esagerazione di un comportamento normale. Molti gustano un bicchiere di vino, ma non tutti diventano alcolisti; tutti ci laviamo normalmente le mani (in particolare in questo periodo pandemico), ma non tutti ce le laviamo fino a far screpolare la pelle; tutti siamo attenti a chiudere la porta di casa e a ricontrollare se non ne siamo sicuri, ma non tutti ci sentiamo costretti a farlo ripetutamente.
Se però dentro di noi predominano i dubbi, le paure, i sensi di colpa, lo scoraggiamento, i sensi di impotenza e di incapacità, allora il flusso della nostra vita quotidiana può incepparsi, fino a generare comportamenti ripetitivi coatti, o magico-ritualizzati, che connotano dei veri e propri disturbi ossessivo-compulsivi (DOC), i quali, quando particolarmente gravi, possono anche essere molto invalidanti e resistenti alla psicoterapia.
Ne “Esploratori di ossessioni” lei affronta un tema molto importante, “la consapevolezza del limite”. Ci può spiegare meglio cosa intende e che relazione ha con le ossessioni?
Proprio in questo periodo pandemico abbiamo avuto particolare coscienza delle nostre fragilità e dei nostri limiti, ma anche dei limiti sottili tra ossessioni normali e patologiche (si pensi soltanto alle ossessioni dei ricercatori del vaccino, ma anche a quelle dei divulgatori delle notizie) e di quanto le loro manifestazioni possano essere condizionate da fattori contingenti e sociali. Ognuno desidererebbe avere un pieno controllo della propria vita e delle proprie relazioni, ma sappiamo bene che ciò è impossibile; non solo, sappiamo anche che più il controllo ci sfugge, più genera in noi malessere che si trasforma in un’ossessione del controllo, il quale, paradossalmente, continua ad ottenere l’effetto contrario, generando a volte un circolo vizioso tremendo. Si pensi ad esempio a una crisi amorosa dagli esiti a volte catastrofici.
Tutto ciò costringe a confrontarsi con i propri limiti – Adler direbbe con la propria inferiorità – che ogni essere umano deve imparare a conoscere, ad accettare e a gestire. A tutti piacerebbe essere originali, creativi, felici, ma non sempre questo è possibile che avvenga; quando il conflitto tra reale e ideale diventa particolarmente acuto, può essere utile fare un lavoro su di sé per controllare i propri desideri narcisistici e onnipotenti che possono dare origine ad alcune forme ossessive. È questo in fondo il senso della psicoterapia, un lavoro quasi ancora di tipo socratico, nella forma del “conosci te stesso”, cioè nella forma della “consapevolezza del limite”.
Nel suo libro lei si richiama spesso allo psichiatra Alfred Adler. Ci può spiegare perché?
La psicoterapia è in genere uno strumento molto utile per affrontare le problematiche psichiche, anche i sintomi ossessivi. Quella che ispira la mia pratica professionale segue l’orientamento adleriano. Adler fa parte, insieme a Freud e a Jung, di una triade di psicoterapeuti che all’inizio del Novecento hanno rivoluzionato il modo di comprendere e di curare i disturbi psichici. Dei tre, Adler è lo psicoterapeuta che si è riferito all’uomo così come egli è nella vita reale e relazionale, nel suo essere sociale e comunitario, convinto della parità ideale delle persone, e del fatto che anche il paziente in terapia deve apportare il suo contributo creativo ai fini del cambiamento.
La psicoterapia adleriana, di conseguenza, rifiuta l’uso del famoso lettino psicoanalitico e si svolge in forma dialogica, vis-à-vis tra paziente e terapeuta: una coppia professionale che deve imparare a lavorare assieme, ad esempio attraverso la creatività dei sogni, motivo per cui Adler la definisce una coppia creativa. Per restare alle forme ossessive, in psicoterapia si considera il problema attuale di un paziente e lo si affronta tenendo conto delle possibili cause non solo passate, ma anche future, da intendere come paure e aspettative che influenzano il presente. Pertanto, mi richiamo spesso a Adler perché la mia formazione psicoterapeutica si ispira al suo modello.
Qual è il pubblico ideale del suo saggio? Lettori di nicchia e specialisti oppure “Esploratori di ossessioni” è una lettura adatta a tutti?
Di scritti sui disturbi ossessivo-compulsivi ce ne sono tanti, motivo per cui, insieme ai miei collaboratori, abbiamo voluto dare a questo libro un taglio discorsivo, il più possibile accessibile a tutti.
Il saggio ha una prima parte culturale, ricca di riferimenti mitologici e letterari, che dovrebbe essere di piacevole e facile lettura, e un’altra clinica e psicoterapeutica, quindi più tecnica, ma ugualmente molto accessibile. Il pubblico ideale è di conseguenza piuttosto ampio, perché il saggio si rivolge a tutti quelli che sono interessati alle tematiche ossessive e che vogliono conoscerle non soltanto nelle loro caratteristiche cliniche e terapeutiche, ma anche, per così dire, nei loro aspetti di “normale quotidianità”.