Da oltre un anno il prezzo del petrolio subisce pesanti cali a causa del crescente eccesso di offerta. «Una situazione sulla quale l’Opec non ha mostrato alcuna intenzione di reagire, perché sarebbe una manovra unilaterale che beneficerebbe gli altri produttori» spiegano gli esperti di Avvenia (www.avvenia.com),società leader nel campo della white economy, che per gli anni a venire prevede che i miglioramenti dell’efficienza energetica e il maggiore utilizzo dei combustibili a più basso contenutodi carbonio contribuiranno a dimezzare la quantità di emissioni di gas a effetto serra.
Alimentata dalla crescita demografica e dall’espansione economica, entro il 2050 la domanda globale di energia aumenterà del 50%. A metterlo in evidenza è Avvenia, pioniere nel campo della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica.
«Ma il prezzo del petrolio continuerà a scendere negli anni a venire» sottolineano gli esperti di Avvenia, perché l’Opec da sola non metterà in campo manovre restrittive contro i cali del prezzo dell’oro nero.
Da oltre un anno il petrolio subisce infatti pesanti cali a causa del crescente eccesso di offerta proprio perché l’Opec non ha mostrato alcuna intenzione di reagire in virtù del fatto che sarebbe questa una manovra unilaterale che risulterebbe beneficiare gli altri produttori.
Allo stesso tempo Avvenia prevede che i miglioramenti dell’efficienza energetica ed il maggiore utilizzo dei combustibili a più basso contenuto di carbonio contribuiranno a dimezzare la carbon intensity dell’economia globale, ovvero la quantità di emissioni di gas a effetto serra.
Le analisi di Avvenia confermano la convinzione che per soddisfare la crescente domanda di energia saranno necessarie fonti diverse da quelle petrolifere.
«Certo, come ogni fenomeno economico o storico, anche il petrolio subisce, di norma sul lungo termine, andamenti ciclici che presentano crescita o decrescita del prezzo. Questo tipo di comportamento viene di solito studiato, al fine di pianificare ed attuare gli investimenti, delle grandi compagnie che lavorano nell’estrazione/distribuzione/
Ed ultimamente, osserva Avvenia, il petrolio ha rappresentato di per sé un fattore di rischio per queste compagnie costrette a gestire approvvigionamenti indicizzati in base al prezzo del greggio e non sempre in grado di adeguare il prezzo di vendita agli hub continentali per via di una forte depressione dei consumi ovvero della domanda.
«Volendo quindi allargare il focus di quanto affermiamo, ovvero l’irrazionalità dell’andamento dei prezzi del greggio, legato oramai da anni a pura speculazione economica o finanziaria e che in quanto tale come tale rischia di fare la fine dei titoli subprime, è un tipo di fenomeno che ha radici piantante ben indietro nel tempo» aggiunge l’ingegnere Giovanni Campaniello.
«Abbiamo assistito ad una crescita quasi forsennata del prezzo del petrolio al barile in un momento in cui l’economia ristagnava e la domanda diminuiva. Al contempo le stesse grandi società hanno rivisto i propri piani di investimenti in opere di ingegneria e costruzioni; questo settore, però, è corso dai tempi ai ripari per ridurre la propria vulnerabilità a queste dinamiche. Ed a questo tipo di soluzione dovrebbe giungere tutto il settore industriale ed economico rendendosi sempre più indipendente dall’andamento del costo delle materie prime» conclude l’ingegnere Giovanni Campaniello.
A giovare dei prezzi alti del greggio, osservano gli analisti di Avvenia, sono state sicuramente nazioni come Russia (70% del loro export si basa su gas e petrolio), Arabia Saudita e anche gli Stati Uniti con i forti e rapidi investimenti nel settore delle estrazioni.
Cosa ha portato al crollo del prezzo del petrolio che dal luglio del 2014 è sceso del 70%? Secondo Avvenia diversi fattori ne sono all’origine. La geopolitica di un tempo sembra essere drasticamente cambiata; neanche un decennio fa sarebbe bastata un folata di venti di guerra per veder salire il prezzo del petrolio al barile.
Oggi, invece, con un panorama Medio Orientale e Nord Africano dilaniato da guerre civili e religiose, i continui attentati a raffinerie e ai punti nodali di distribuzione e di stoccaggio, nonché i continui furti e la nascita di un vero e proprio mercato nero su cui oggi si vende a 20 dollari al barile contro i 30 dollari di quando costava 60 dollari sui listini ufficiali, sembrano non contare più nulla. E L’Opec stessa che riunisce i 13 maggiori Paesi estrattori di greggio non riesce a stabilire una politica sui numeri che riguardano le quantità da immettere sul mercato.
Secondo Avvenia lo scontro, l’Islam sunnita di Riad e quello sciita di Teheran, è la vera ragione di quanto sta accadendo. Il percorso intrapreso dall’Iran nei confronti delle istituzioni internazionali per favorire la soppressione delle sanzioni economiche ha aperto a nuovi scenari in cui gli schemi della geopolitica tradizionale sono saltati. É in gioco un predominio sull’area, è in gioco il nome di chi deciderà cosa sarà del prezzo del petrolio di qui sino al suo prossimo esaurimento, nonostante di per sé l’Arabia Saudita rappresenti solo il 13% delle riserve mondiali.
Non basta neanche la guerra che i Sauditi hanno dichiarato alle società che pensavano di sfruttare il fracking per immettere nuovo gas e petrolio “non convenzionale” sui mercati, anche Europei, a giustificare questi prezzi. Già con una prima riduzione del 30% dei prezzi in dollari al barile i creditori stavano chiudendo i rubinetti e le linee di credito a queste compagnie oramai prossime al fallimento perché i prezzi di vendita non ripagano i costi operativi, nonostante gli States abbiano duramente difeso la loro politica industriale nel settore pompando barili su barili ogni giorno: 11,6 milioni circa contro gli 11,5 dell’Arabia Saudita e i 10,8 della Russia. E l’Iran promette di introdurre altri 10 milioni di barili al giorno con un costo di produzione dichiarato di 10 dollari al barile.
E la Russia? La Russia è un Paese che fino al 2007 ha conosciuto un tasso di crescita del PIL dell’8% mettendosi in coda ad altre superpotenze economiche come la Cina. Il suo ruolo strategico, soprattutto in campo energetico, è stata quasi la chiave della sua enorme espansione. Ma si è trovata però ben presto in una congiuntura davvero sfavorevole, partita con la difficile posizione in cui si è posta nei confronti dell’Europa sulla questione “Ucraina”. La crescita si sa, si fa anche e soprattutto nel privato con aziende che si indebitano per investire, in questo caso in valuta estera. Così, crisi diplomatiche, sanzioni e prezzi ridicoli del petrolio, stanno mettendo in ginocchio un colosso che viene più volte accusato di aver riacceso la “guerra fredda”, con una moneta sempre più debole ed un export dai volumi economici drasticamente ridotti. E l’asse con Teheran sarà fondamentale nonostante il ribasso dei prezzi non favorisca assolutamente Mosca.
Cosa ci aspettiamo per il futuro? Ripartiamo dalla causa di base. Il prezzo del petrolio è quasi uno specchio della guerra geopolitica tra Iran e Arabia Saudita, ovvero la guerra nell’Islam. Non solo però: le sanzioni imposte all’Iran nel 2011 hanno permesso all’Arabia Saudita di conquistare un vantaggio strategico nel muovere sui mercati asiatici. Vantaggio che ora rischiano di perdere.
Negli Anni ’80, ultimo caso in cui si ricorda una crisi del genere, gli Arabi non furono in grado di frenare la caduta dei prezzi ed alla fine ci rinunciarono, vedendolo arrivare a 10 dollari al barile, ed affidandosi alla speranza nella ciclicità degli eventi. Non c’era questo Iran però.
Sappiamo che fino a 25 dollari al barile gli Arabi potrebbero continuare ad estrarre senza però poter pianificare ulteriori iniziative o investimenti erodendo comunque le loro riserve. Sappiamo anche che, nonostante i bassi costi di estrazione, il prezzo di equilibrio del petrolio al barile Saudita è di 95 dollari al barile mentre per quello Iraniano è 70 dollari circa, quindi decisamente più basso. Ecco perché l’Iran spaventa così tanto.
D’altro canto l’Arabia Saudita può contare su 3 anni di riserve mentre l’Iran rimarrebbe a secco dopo soli 20 mesi, nonostante sia la quarta riserva mondiale. E quanto registrato negli ultimi 2 giorni di borsa della scorsa settimana è sicuramente un fenomeno di speculazione finanziaria che ancora di più, nella confusa situazione, mette in luce come lo spettro di una bolla sia vicino.
Le compagnie petrolifere hanno iniziato ad emettere obbligazioni ad altro rendimento, tipicamente quindi ad altro rischio e potenzialmente spazzatura, che sono il pane quotidiano di esperti e professionisti speculatori, delle quali il 50% è già deteriorato.
La domanda globale sale ed i prezzi crollano mentre la produzione viene mantenuta costante e rischia di essere aumentata dall’Iran:ciò che ci aspettiamo è una discesa dei prezzi sino ai 20 dollari al barile, soprattutto in questa fase iniziale di uscita di Teheran dal periodo di sanzioni con una potenziale immissione in blocco di milioni di barili di petrolio sul mercato. Politiche più assennate potrebbero poi riportarlo nel terzo e quarto trimestre 2016 intorno ai 50 dollari al barile.
Secondo Avvenia, infine, gli investimenti, a causa dei bassi margini di profitto, tendono a ridursi e quindi anche il volano economico legato al petrolio rallenta, perché il break-even è lontano dagli attuali prezzi, volendo anche considerare un prezzo medio negli ultimi mesi di 50-60 dollari al barile.
Nel frattempo le grandi compagnie stoccano il petrolio in alto mare in navi cisterna per attendere prezzi agli hub europei ancora più alti e marginalizzare di più nella fase di iniziale controtendenza (rialzo), non bastassero gli attuali di margini di guadagno.
Lo spettro per tutti i Paesi è quello di una deflazione dei prezzi con un rallentamento della crescita. Questo perché purtroppo ancora oggi la crescita di quasi tutte le economie di Stato risente delle dinamiche dei mercati energetici da cui dichiarano di volersene rendere indipendenti ma da cui non si staccano a causa dei forti gettiti fiscali e qui si veda il caso dell’Italia in particolare.
L’efficienza energetica concludono gli analisti di Avvenia è quindi l’unica vera possibilità di cambiare tale situazione facendo leva su di una riduzione del fabbisogno energetico a parità di produzione.