Una delle lune più affascinanti e misteriose di Saturno,Encelado, potrebbe avere un ambiente capace di ospitare la vita nel suo oceano nascosto sotto i ghiacci. A strapparle il segreto è stata la sonda Cassini, tuffandosi in uno dei ciuffi di vapore dei geyser, abbondanti intorno al Polo Sud di questa Luna.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Science e annunciata dalla Nasa in una conferenza stampa, è coordinata da Junter Waite, del Southwest Research Institute. Organizzata dalla NASA, dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), la missione Cassini aveva già scoperto l’esistenza dell’oceano di Encelado nel 2014, nella ricerca condotta Luciano Iess, dell’università Sapienza di Roma, e finanziata dall’ASI. Già allora c’era il sospetto che quell’ambiente avrebbe potuto avere caratteristiche tali da poter ospitare la vita. I dati appena pubblicati rafforzano moltissimo quel sospetto.
Lo strumento Ion Neutral Mass Spectrometer, a bordo di Cassini, ha infatti individuato indizi della presenza, in fondo all’oceano di Encelado, di sorgenti geotermali che potrebbero essere simili a quelle note sulla Terra. In particolare sono stati rilevati idrogeno e anidride carbonica, entrambi “ingredienti critici – osserva Science – per il processo noto come metanogenesi”, ossia per la produzione di metano da parte di microrganismi. Commentando la scoperta su Science, il geochimico Jeffrey Seewald, dell’istituto oceanografico Woods Hole, la considera “un passo in avanti importante nel valutare quanto Encelado possa essere abitabile”.
È un risultato positivo anche per l’Italia: “in quanto membri della missione Cassini siamo estremamente contenti di questo risultato”, ha detto il coordinatore scientifico dell’ASI, Enrico Flamini. “È un bellissimo lavoro – ha aggiunto – e che si basa sulle precedenti scoperte del gruppo di Iess”. La ricerca è scientificamente ineccepibile” anche per il direttore della Scuola internazionale di scienze planetarie (IRSPS) dell’universita’ di Pescara, Gian Gabriele Ori.
All’astrobiologa Daniela Billi, dell’università di Roma Tor Vergata, i nuovi dati su Encelado suggeriscono uno scenario che ricorda la Terra com’era circa 3,8 miliardi di anni fa, quando sono comparse le prime forme di vita nelle cosiddette “lost city”, ossia negli sfiatatoi idrotermali scoperti nel 2000 in fondo al Pacifico e subito individuati come luoghi ideali per l’origine della vita. Cauto, infine, Ernesto Di Mauro, dell’università Sapienza, per il quale “non è possibile fare elaborazioni speculative troppo forti sulla base di molecole semplici”, come quelle individuate grazie allo strumento di Cassini.