(Adnkronos) – Partirà tra un mese, il 15 gennaio con i caucus in Iowa, la corsa per la nomination repubblicana che potrà, secondo tutti i pronostici del momento, portare ad una nuova incoronazione a candidato di Donald Trump. Una corsa che in un certo senso è già storica, dal momento che ad essere favorito è un ex presidente, che fronteggia 91 incriminazioni in 4 diversi procedimenti due per aver tentato di sovvertire la sua sconfitta elettorale nel 2020.
A guardare le date delle varie tornate elettorali, più di una corsa si tratterà di una maratona, con la prima fase particolarmente rallentata. Se infatti nel 2020 i democratici impiegarono 27 giorni a concludere la prima parte delle primarie – quella che precede il cosiddetto Super Tuesday in cui, il 5 marzo, voteranno insieme decine di stati e solitamente decide le sorti della nomination – quest’anno i repubblicani impiegheranno 40 giorni per concludere il percorso.
Le tappe più salienti saranno in New Hampshire, dove si svolgeranno le vere e proprie primarie il 23 gennaio, seguite da quelle del Nevada, 8 febbraio, South Carolina, il 24 febbraio, Michigan, il 27 febbraio. In questo periodo si voterà anche in Idaho, Missouri, District of Columbia e North Dakota. Esperti citati da abcnews ritengono che questa prima fase così rallentata, con più ampie pause del solito tra una tornata e l’altra – 16 giorni tra il voto in New Hampshire e quello in Nevada ed altri 16 prima di quello della South Carolina – potrebbe essere “caotica”.
Ma anche questo tempi in più potrebbe dare più tempo agli avversari di Trump – che al momento ha un vantaggio che oscilla tra i 30 e i 40 punti – di trovare un modo di coordinarsi, e magari unirsi dietro un solo nome contro di lui. Sin dalla sua rielezione a valanga in Florida nel 2022, Ron DeSantis è stato ritenuto lo sfidante più insidioso di Trump, anche dallo stesso tycoon, che per mesi ha martellato di attacchi il governatore.
Ma negli ultimi mesi la sua posizione si è indebolita, anche a causa del fatto che il suo messaggio di estrema destra appare non dissimile dal Maga dell’ex presidente. Insomma si muove nello stesso terreno del tycoon, cercando di “vendere un versione Trump Lite agli elettori che vogliono invece la versione calorica”, scrive Politico, che sottolinea anche come DeSantis finora si sia mostrato impacciato durante la campagna elettorale.
Diversa la posizione di Nikki Haley, l’ex ambasciatrice all’Onu proprio di Trump, che ha dalla sua un’altra carta vincente: il fatto che è stata governatrice in uno dei primi stati in cui si voterà, la South Carolina. Una sua possibile vittoria in questo stato, potrebbe quindi permettere alla 51enne di origine indiana di concludere la prima fase delle primarie come effettiva alternativa al duello Trump-De Santis.
Bisogna notare che da settimane senatori, osservatori, importanti finanziatori repubblicani – come i petrolieri Koch – hanno cominciato a scommettere, ed investire, sulla cometa Haley, considerando anche la sua capacità di attrattiva su indipendenti e, soprattutto, donne. E questo sta agitando gli altri candidati, tanto che gli ultimi due dibattiti – che bisogna ricordare sono stati tutti disertati da Trump, che li considera un esercizio inutile visto la sua vittoria scontata – si sono trasformati in una sorta di “tutti contro Haley”.
Secondo Josh Putnam, politologo specializzato nel processo delle primarie, però le prime indicazioni su come andranno le primarie – cioè se saranno un’inutile liturgia versa una nomination annunciata oppure, a sorpresa, diventeranno competitive – potranno arrivare già dal caucus di Iowa e dalle primarie in New Hampshire. Se Trump vincerà in entrambi con ampio vantaggio, ai suoi avversari serviranno poco le più lunghe pause tra una tornata e l’altra per colmare lo svantaggio.
Ma se invece dovesse essere sconfitto in uno, o in tutte e due gli stati, oppure vincere di misura, allora – spiega Putnam – le forze anti-Trump potranno sfruttare le lunghe pause per cercare di unificare il fronte intorno ad unico candidato. Partito molto affollato il campo dei candidati alla nomination repubblicana si è progressivamente ristretto, a causa di una serie di rinunce, a partire da quella di Mike Pence, l’ex vice presidente di Trump che il 6 gennaio si rifiutò di partecipare al complotto per rubare la vittoria a Joe Biden. Si è ritirato anche Tim Scott, l’unico senatore afroamericano repubblicano eletto nella South Carolina di Haley.
Tra i candidati ancora in corsa e con una, per quanto minima possibilità di guadagnare visibilità, c’è un outsider della politica, Vivek Ramaswamy, imprenditore del tech che fa della sua battaglia contro il liberalismo ‘woke’ il suo cavallo di battaglia. Anche lui è figlio di immigrati indiani. E’ invece un politico navigato Chris Christie, l’ex governatore del New Jersey, passato dall’essere un grande alleato di Trump a suo acceso critico per le sue contestazioni su presunte frodi elettorali nel 2020.
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