Ecosistemi marini nel Mediterraneo: quanti pericoli! Le navi veloci sono responsabili di disturbi acustici significativi in alcuni cetacei. Le attività di pesca oltre a ridurre il cibo disponibile per le specie marine lasciano disperse reti, lenze e trappole, nelle quali gli animali possono restare impigliati. La plastica abbandonata può provocare anche il soffocamento di diverse specie animali che la ingeriscono per sbaglio. In fondo al mar, come recita il ritornello di una famosa canzoncina, c’è un patrimonio di fauna tutto da scoprire e tutelare. Solo conoscendolo, infatti, lo si può proteggere dalle conseguenze delle attività umane. Triton Research, società che si dedica alla conservazione del mare, è impegnata in prima linea nella tutela della fauna marina con due progetti europei: LIFE Pinna e LIFE Conceptu Maris. Uno di questi, in particolare, si occupa della tutela di un abitante dei nostri mari davvero speciale, la Pinna nobilis. Perché la cosiddetta nacchera di mare è così importante per i nostri mari ce lo racconta Stefano Picchi, direttore esecutivo di Triton Research e responsabile dei due progetti.
Stefano Picchi, quali sono le specie più caratteristiche che popolano il mar Mediterraneo?
Tra le specie di cetacei osservate nel Mediterraneo otto sono considerate regolari, in quanto svolgono tutte le loro funzioni vitali nei nostri mari (vivono, si riproducono e si alimentano), e sono balenottera comune, capodoglio, zifio, globicefalo, grampo, tursiope, stenella striata e delfino comune. La balenottera comune, con i suoi 20-25 metri di lunghezza, è il secondo animale più grande del nostro pianeta e nei nostri mari, tranne che in Adriatico, rappresenta un avvistamento abbastanza frequente, sebbene sia considerata in pericolo e in diminuzione. Il capodoglio, il più grande odontocete esistente, è presente nel mar Mediterraneo soprattutto in aree dove il fondale precipita bruscamente verso grandi profondità, aree ricche di cefalopodi di grandi dimensioni di cui gli stessi capodogli si nutrono.
Fra i delfinidi, le specie più diffuse sono la stenella striata e il tursiope. La prima si incontra più facilmente in mare aperto, spesso in gruppi molto numerosi, dove ama giocare con salti acrobatici sulle onde di prua delle navi. Anche il tursiope è un provetto acrobata ed è più facile da avvistare lungo la costa, comprese le zone molto antropizzate. Tra le tartarughe marine, la caretta è l’unica che nidifica in Italia ed è presente in tutto il Mediterraneo e, grazie agli intensi sforzi di conservazione compiuti negli ultimi 40 anni, il numero dei suoi nidi è cresciuto.
Tra le varie azioni in difesa del Mediterraneo alcune saranno dedicate alla tutela della specie Pinna nobilis: ce ne parli.
Pinna nobilis, che molti conoscono come “nacchera di mare”, è il mollusco bivalve più grande del Mediterraneo. Ha un ruolo importantissimo per l’ecosistema costiero. In particolare nelle praterie di posidonia, dove contribuisce a ridurre l’erosione dei fondali e migliorare la qualità dell’acqua con la filtrazione, creando anche un microhabitat ideale per tante specie diverse che vivono dentro e sopra la sua conchiglia. Oggi è in grave pericolo di estinzione perché, a partire dal 2016, un’epidemia provocata da alcuni microrganismi ha quasi azzerato le sue popolazioni nei nostri mari. Con il progetto europeo LIFE Pinna puntiamo a proteggere e monitorare le popolazioni sopravvissute. Anche individuare gli esemplari resistenti all’infezione e farli riprodurre in laboratorio, utilizzando procedure mai sperimentate prima con questo mollusco, per poi reintrodurli in natura.
Ci parli anche del progetto Conceptu maris
Ci spostiamo in mare aperto dove, per i prossimi quattro anni, valuteremo l’impatto negativo delle attività umane sui cetacei e sulle tartarughe. Parliamo di attrezzi da pesca abbandonati, traffico marittimo e plastiche galleggianti, i cui effetti negativi sono sempre più evidenti. LIFE Conceptu Maris coinvolge importanti enti di ricerca italiani e internazionali, oltre a compagnie di traghetti, capitanerie di porto e istituzioni di rilievo, in un grande sforzo comune per identificare le zone in mare aperto più importanti per la conservazione delle specie minacciate. Il progetto è innovativo anche perché ci serviremo di tecnologie all’avanguardia. Ad esempio l’analisi del DNA ambientale disperso in acqua dagli animali. Oppure i sensori installati sulle chiglie dei traghetti e l’analisi degli isotopi di carbonio e azoto, che promettono un salto in avanti delle nostre conoscenze.
Come si fa a conciliare la tutela della flora e della fauna marina con le attività dell’uomo?
Per conciliare prima di tutto bisogna conoscere. Nell’approccio che adottiamo nei nostri progetti, infatti, è sempre cruciale la raccolta di nuovi e sempre più dettagliati dati sulle specie interessate e sull’ambiente. Tutto in modo da strutturare strategie di conservazione più adeguate. Inoltre, poiché in mare le attività umane sono onnipresenti e lasciano tracce ovunque, è necessario trovare un equilibrio tra i legittimi interessi economici e la sostenibilità, considerando la conservazione della natura come un valore assoluto, sia etico sia economico. Mantenere le risorse per le generazioni future deve essere una missione della scienza ma, anche e soprattutto, della politica.