La mostra “ECLETTICHE ARMONIE. Percorsi figurativi tra rinnovamenti inizio secolo e nuove frontiere del realismo al tempo della Costituzione“, progettata e curata da Marco Moretti sotto il patrocinio del Senato della Repubblica e del Museo Soffici di Poggio a Caiano con l’organizzazione della Lotti Art di Como, riguarda l’esposizione di 55 opere tra dipinti, incisioni e disegni aperta dal 20 febbraio al 16 marzo a Palazzo Giustiniani, Sala Zuccari, Senato della Repubblica a Roma.
Ventisei gli artisti rappresentati, attraverso i quali viene documentato con l’ausilio bibliografico di libri e riviste un percorso figurativo che, iniziato tra estetiche simboliste e la rinascita culturale avviata a Firenze nel 1903, si è snodato attraverso il periodo fra le due guerre fino alla nascita della Repubblica e della Costituzione.
La prima sezione è dedicata alla “nascita della modernità“, con l’avvento di “Leonardo”, rivista d’idee fondata a Firenze dal ventiduenne Giovanni Papini e graficamente caratterizzata dall’opera incisa di Adolfo De Carolis, Armando Spadini, Giovanni Costetti e Ardengo Soffici che, ancora a Parigi, fornì il suo apporto come scrittore e incisore alla terza e ultima serie della testata. Oltre all’opera incisa, nella sezione è presente il ritratto di Gianfalco eseguito da Costetti nel 1902, pseudonimo con il quale Giovanni Papini si firmerà sulla rivista. Presente anche un importante dipinto di Soffici, “La raccolta delle olive” eseguito nel 1908, anno successivo al suo definitivo rientro in Italia dopo sette anni trascorsi a Parigi tra le avanguardie artistiche e letterarie, in ricordo delle quali è in mostra una delle tre figure acquerellate che Picasso donò nel 1907 all’amico italiano.
La seconda sezione, presentata da un saggio in catalogo da Emanuele Bardazzi, prende spunto dall’interesse moderno scaturito a Firenze per l’incisione grazie all’attività didattica dell’umbro Celestino Celestini. Oltre ad essere ottimo incisore, per la sua capacità d’insegnamento e doti umane Celestini portò la scuola a una fioritura di talenti. I risultati della scuola vennero presentati nella Prima Mostra di Bianco e Nero tenuta nell’estate del 1913 a Pistoia: folta rassegna di acqueforti e xilografie, eterogenee per contenuti, forme e espressioni, dalle quali si evidenziavano le specifiche personalità degli allievi, quali Ottone Rosai, Betto Lotti, Francesco Chiappelli, Ferruccio Pasqui, le cui opere figuravano esposte assieme a quelle di maestri come Romeo e Giovanni Costetti, Adolfo De Carolis e dello stesso Celestini. Una scelta di quelle grafiche costituisce il nerbo di questa sezione composta anche da dipinti coevi, come il ritratto di Costetti fatto al poeta Dino Campana nel ’13, entrato coi suoi Canti Orfici da protagonista nell’ambiente artistico e letterario fiorentino; presente in mostra, una delle rarissime copie della famosa prima edizione del 1914.
Assai interessante è il raffronto tra le opere di Betto Lotti e Ottone Rosai, che dopo avere esposto nella mostra d’incisione a Pistoia, terranno nel novembre-dicembre 1913 un’esposizione nella fiorentina via Cavour, poco distante da quella futurista di “Lacerba”. I pittori futuristi, condotti da Papini, visiteranno l’esposizione ed esterneranno il loro incoraggiamento ai due giovani artisti.
I dipinti di Lotti e di Rosai risentivano del clima tardo simbolista influenzato dalla letteratura di Mallarmé e Baudelaire, autori cari ad una cerchia ristretta di artisti e d’intellettuali facenti capo ai ritrovi culturali nei caffè cittadini. Di Lotti sarà in mostra la grande tela delle Anime; di Rosai, “I miei amici della notte”, due dipinti che tornano ad incontrarsi 104 anni dopo la comune esposizione.
La terza sezione documenta il ritorno all’ordine della forma iniziato nel 1918 dalla rivista romana “Valori Plastici” di Mario Broglio; richiamo ribadito da Soffici nel 1920 su “Rete Mediterranea” e otto anni dopo su Periplo dell’arte; riflessioni che, pur con diversi distinguo, riflettevano un comune sentimento di chiarezza precisate da Giovanni Costetti come «nativa purezza dell’arte».
La sezione annovera venti dipinti di artisti, tra cui Felice Carena, Betto Lotti, Ottone Rosai, Giovanni Colacicchi, Ardengo Soffici, Lorenzo Viani, che con la loro eterogenea attività di pittori e scrittori vivacizzarono la Firenze degli anni tra le due guerre, mantenendola a ruolo di baricentro culturale tra Roma e Milano. Città che tra le due guerre ebbero come noto grande vivacità : nella capitale fiorì il cenacolo artistico della “Scuola romana” animata da Mario Mafai e dalla moglie Antonietta Raphael, della quale in mostra è un ritratto fattole nel ’28 dal consorte. A Milano era attivo il gruppo Novecento, rappresentato in mostra da un paesaggio di Arturo Tosi e da un ritratto di Mario Sironi fatto allo scultore Giacomo Manzù.
Il ruolo culturale di Firenze si era intensificato grazie anche alla fiorente attività editoriale di Attilio Vallecchi, e per tale riferimento la città era luogo residenziale di scrittori e poeti, da Montale a Landolfi, oltre che di artisti come il piemontese Felice Carena, l’anagnino Giovanni Colacicchi, gli emiliani Costetti e Lega, il ligure Betto Lotti che vi era tornato dopo il rilascio dalla prigionia austriaca durante la quale trovò il modo di fare una mostra a Vienna, e la cui attività ripresa a Firenze (dove sarà anche critico d’arte e condirettore di riviste), venne incentrata su una raffinata creazione di affiches interpretativa della propria epoca, come la Dame au parapluie, assurta a logo della mostra, eseguita nel 1925 data ‘ufficiale’ della nascita dell’art déco.
La quarta sezione, presentata in catalogo da un saggio di Costanza Contu, conclude la mostra con dipinti di Renato Guttuso, Armando Pizzinato, Betto Lotti, Fernando Farulli, Alvaro Cartei, Raffaele Leomporri riguardanti la tematica del lavoro, omaggio al 70° anno dell’entrata in vigore della Costituzione. Nei primi anni del dopoguerra, con le libere circolazioni delle idee molti giovani artisti sperimentarono nuove interpretazioni figurative derivate dal cosiddetto neo cubismo picassiano. Attraverso la loro opera, maturata dopo il 1948 nella linea dettata del P.C.I ispirata al realismo sociale, venne virtualmente documentato il lavoro dei milioni d’italiani che si erano rimboccati le maniche per restituire a se stessi e al paese la dignità materiale e morale umiliate dalla guerra. Lavoro contemplato come fede laica e religiosa insieme, idealizzato con una ruota dentata nell’emblema della Repubblica e sancito come fondamento di progresso dal primo articolo della Costituzione.
Accompagna la mostra un esaustivo catalogo pubblicato da Masso delle Fate Edizioni con testi critici di Emanuele Bardazzi, Costanza Contu e Marco Moretti.