“ Non si muore quando si deve, ma quando si può”, scriveva Marquez in Cent’anni di solitudine. L’inchiostro della sua penna colombiana si è consumato ieri nella sua casa a Città del Messico all’età di 87 anni. Le creazioni letterarie, commistioni di un incontro tra realtà e magia, hanno suggestionato un gran numero dilettori. Ogni romanzo si pone al “confine” di un qualcosa di conoscibile ma intangibile alla conoscenza razionale assumendo le forme di una desta allucinazione. Le prime opere definibili “sadomasochistiche”, richiamano uno schema narrativo che “l’amico” Vargas Llosa definì “ metafisico-masturbatorio”, in cui c’è sempre un personaggio nevrotico che tortura incessantemente il suo Io, lo scompone, lo duplica, in una morte dopo l’altra.
Il motivo del “doppio” è rintracciabile nel capolavoro Cent’anni di solitudine, un’opera monumentale dopo il Don Chisciotte, ove il realismo magico è filtrato sapientemente con il fiabesco e il surreale dell’immaginario latinoamericano. La fondazione di Macondo costituisce infatti una metafora della colonizzazione della Colombia. In questo locus narrativo, realtà e fantasia si mescolano in un impasto narrativo senza paragoni, ove la realtà si veste di fantasia, si nutre della stessa sino ai limiti dell’onirico. Il lettore è però in grado di non perdersi, si cerca continuamente nella vita dei personaggi stessi, nelle loro emozioni, identificandosi nei loro destini. Probabilmente l’intento di Marquez era proprio questo: concentrare nei personaggi il destino di tutti gli uomini, caratterizzato da una progressiva perdita dell’armonia e della semplicità a causa dell’avvento del progresso. Attraverso il racconto di ben 7 generazioni, Marquez introduce il tema della solitudine che si ripete costantemente e sempre uguale. Tutta la storia è un’allegoria dell’odierna globalizzazione: “un villaggio che vive di solitudine non conoscerà mai le imprese scientifiche del progresso”.
Nel corso di questi quart’anni di fervida attività letteraria, Marquez scrisse altri romanzi di grande successo: L’autunno del patriarca, Cronaca di una morte annunciata, L’amore ai tempi del colera. Nell’attesa di “ cinquantatrè anni , sette mesi, undici giorni, notti comprese” si dispiega il fenomeno dell’amore nelle sue forme più devastanti. La prosa amorosa diventa viva nelle mani di Marquez, ricca di pathos perché l’amore non ricambiato procura gli stessi sintomi del colera conducendo, chi ne è affetto, a stati d’animo febbrili. Un amore , quello descritto dall’autore, mai maturo e totalizzante; inizialmente un acerbo sentimento giovanile per poi divenire uno straniante affetto senile. Ed è proprio fra questi due poli che si intreccia la vita dei protagonisti, l’uno lontano dall’altra senza mai toccarsi con gli occhi e la carne, nell’incompletezza. Fermina e Florentino, si conservano vergini nell’anima e impuri nel desiderio. Dai tratti aulici e passionali, l’amore ai tempi del colera, riesce a far provare al lettore, con la sola forza delle sensazioni, gli odori e le passioni strazianti impregnati di emozioni universali. Nell’ampio spazio dell’attesa c’è l’amore e tutto ciò che gli conviene.
Garcia Marquez, soprannominato affettuosamente “Gabo”, dedicò la sua vita anche all’impegno politico. Definì il socialismo un “sistema di progresso, libertà e uguaglianza relativa”. Pur non essendosi mai scritto ad alcun partito, le idee politiche dello scrittore non possono separarsi dalla sua storia colombiana. Dall’influenza dei suoi nonni paterni, Nicolas Marquez Mejia e Tranquilina Iguran Cotes: se il gusto del fantastico della nonna segnò la vena poetica del futuro scrittore, i racconti del nonno, un prestigioso militare della cosiddetta «guerra dei mille giorni» (1899-1902) fra conservatori e liberali, lo aiutarono per la sua visione storica, segnata dal “senso del tragico, dalla crudeltà e dal fascino del potere”. Se tutto stava finendo, se tutto era distrutto e si stava cancellando, lui non sarebbe stato a quel gioco che non era il suo. A ciò che era svanito avrebbe sovrapposto, con un gesto di ribellione contro le leggi del Creatore, una nuova realtà fantastica; avrebbe costruito sulle rovine di Arcataca ( città di origine dei nonni), la favolosa Macondo, ne pensasse Dio quel che voleva.
Nel 1999 gli viene diagnosticato un cancro linfatico che lo indusse a sottoporsi alla chemioterapia, nel 2005 sconfitto il cancro, scrisse l’ultimo grande romanzo della sua vita dal titolo: “ Memorie delle mie puttane tristi”. Protagonista del romanzo è un giornalista eccentrico ( ricordiamo che Marquez prima di intraprendere la carriera di scrittore era un giornalista), che, giunto in tarda età,scopre il piacere di contemplare il corpo nudo di una donna che dorme “ senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore”. Scopre forse l’amore, trovando “ l’inizio di una nuova vita a un’età in cui la maggior parte dei mortali è già morta”.
La letteratura porta via con sé uno dei massimi e più amati scrittori contemporanei. Ricordiamo insieme il discorso di accettazione del Premio Nobel nel 1982: “«Noi inventori di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non è ancora troppo tardi per intraprendere la creazione» di una «nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra».