(Adnkronos) – “I nostri rivali marciano avanti a noi, con un vantaggio, perché possono agire come un unico Paese, con un’unica strategia, e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo uguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri: una ridefinizione della nostra Unione, non meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa, con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”.
Lo dice l’ex presidente della Bce e del Consiglio Mario Draghi, intervenendo a La Hulpe, nel Brabante Vallone, ad una conferenza di alto livello organizzata dalla presidenza belga del Consiglio Ue. “La coesione politica della nostra Unione – continua – richiede che agiamo insieme, possibilmente sempre. E dobbiamo essere consapevoli che la nostra stessa coesione politica è oggi minacciata dai cambiamenti nel resto del mondo. Ripristinare la nostra competitività non è una cosa che possiamo raggiungere da soli, o solo battendoci a vicenda. Ci impone di agire come Unione Europea in un modo mai avvenuto prima”, conclude.
L’Unione Europea, specie dopo la crisi del debito sovrano, ha perseguito una strategia basata sulla competizione interna tra gli Stati membri, con il risultato di indebolirsi rispetto agli altri concorrenti globali, in grado di agire unitariamente come Stati, e – sottolinea l’ex premier – si è lasciata cogliere “di sorpresa” quando gli altri attori hanno iniziato a non rispettare le regole che il sistema multilaterale creato nel Dopoguerra si era dato.
“Nel 1994 l’economista, che poi avrebbe vinto il premio Nobel, Paul Krugman – dice Draghi – ha definito focalizzarsi sulla competitività ‘un’ossessione pericolosa’. La crescita a lungo termine viene dal migliorare la produttività, cosa che beneficia tutti, piuttosto che dal tentare di migliorare la propria posizione relativa rispetto agli altri e tentare di catturare la loro fetta di crescita. L’approccio adottato verso la competitività in Europa dopo la crisi del debito sovrano sembra confermare la sua tesi”. In Europa, nota, “abbiamo perseguito una strategia deliberata di ridurre i costi del lavoro” rispetto a quelli degli altri Paesi Ue.
Questo, “unito ad una politica di bilancio prociclica, ha prodotto l’effetto netto di indebolire la domanda interna e di minare il nostro modello sociale”. “Ma il punto chiave – prosegue Draghi – non è che la competitività è un concetto sbagliato, ma che l’Europa si è focalizzata sulle cose sbagliate. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti come noi stessi, anche in settori, come la difesa e l’energia, nei quali abbiamo profondi interessi comuni. Nello stesso tempo, non abbiamo guardato al di fuori” con sufficiente attenzione. “Con un saldo positivo della bilancia commerciale, dopotutto, non vedevamo la competitività esterna come una questione seria.
Avevamo fiducia nell’ordine internazionale basato sulle regole, aspettandoci che gli altri avrebbero fatto lo stesso. Ma il mondo sta cambiando rapidamente e ci ha colti di sorpresa”. Gli Stati Uniti d’America, evidenzia Draghi, “usano la loro politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiera ad alto valore aggiunto all’interno dei propri confini, inclusa quella delle aziende europee, usando nel contempo il protezionismo per tagliare fuori i concorrenti e dispiegando la propria potenza geopolitica per riorientare e mettere in sicurezza le catene del valore”.
La Cina “mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena del valore nelle tecnologie avanzate e pulite e ad assicurarsi l’accesso alle risorse necessarie. Questa rapida espansione dell’offerta sta portando ad una significativa sovraccapacità produttiva in più settori e minaccia di minare le nostre industrie”. I concorrenti dell’Ue, continua, “stanno attivamente concependo politiche mirate a migliorare la loro posizione competitiva. Nel migliore dei casi, queste politiche sono concepite per deviare gli investimenti verso le loro economie, a spese delle nostre. Nel peggiore dei casi, sono concepite per renderci permanentemente dipendenti da loro”.
Un ambito in cui nell’Ue “non stiamo sfruttando la dimensione è quello delle telecomunicazioni. Abbiamo un mercato di circa 450 milioni di consumatori nell’Ue, ma gli investimenti pro capite sono la metà di quelli degli Stati Uniti e siamo in ritardo nella diffusione del 5G e della fibra”, evidenzia l’ex premier. “Uno dei motivi di questo divario – continua – è che in Europa abbiamo 34 gruppi di reti mobili (e questa è una stima prudente, in realtà ne abbiamo molti di più), che spesso operano su scala nazionale, contro tre negli Stati Uniti e quattro in Cina. Per produrre maggiori investimenti, dobbiamo razionalizzare e armonizzare ulteriormente le normative sulle telecomunicazioni tra gli Stati membri e sostenere, non ostacolare, il consolidamento”.
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