Il film di Annarita Zambrano, regista di “Dopo la guerra“, è un salto nel passato, un passato scomodo, doloroso e per certi aspetti ancora molto attuale. Il lungometraggio, interpretato da Giuseppe Battiston, Barbora Bobulova e Charlotte Cètaire, si apre con una scena violenta che ci riporta indietro nel tempo, all’omicidio Biagi del 2002. La pellicola, presentata a Cannes nel 2017, prodotta da Movimento Film e distribuita da I Wonder, è il primo lungometraggio della regista. Il film, che uscirà nelle sale il 3 maggio, racconta la storia di Marco (interpretato da Giuseppe Battiston), un ex terrorista rifugiatosi in Francia grazie alla legge Mitterand che permetteva agli ex terroristi colpevoli di omicidio di trovare asilo oltre Alpe. Marco si rifà una vita in Francia, ma dopo vent’anni, a Bologna, l’omicidio di un giuslavosirista, fa rimpiombare il protagonista nel suo passato, mai rinnegato e sempre difeso. L’italia sospetta che Marco sia il mandante dell’omicidio e ne chiede l’estradizione. Marco deve fuggire.
Il film invita ad una riflessione sulle scelte che si fanno nella vita e sulle relative conseguenze che spesso si abbattono su chi non le ha compiute. Il peso di scelte e azioni politiche ben precise commesse in passato da Marco, coinvolge inevitabilmente tutte le persone e gli affetti che gli gravitano intorno. Il protagonista è costretto a fuggire e decide di portare con sé Viola, la figlia adolescente, sconvolgendole la vita e riaprendo inevitabilmente dolori familiari forzatamente sopiti dalla lontananza. Sua madre e sua sorella che vivono in Italia, si troveranno a subire inermi le conseguenze delle sue vecchie scelte, che a distanza di vent’anni tornano a reclamare leproprie vittime sacrificali. Poi, come per magia, eliminata la causa di tante sofferenze, tutto ritorna come prima anzi, per certi aspetti, anche meglio di prima. Marco muore all’improvviso, in modo tragico, Viola ritroverà gli affetti che le sono stati tolti fin da ragazzina e la sua famiglia potrà guardare al futuro più serenamente, voltando definitamente pagina anche se con un epilogo traumatico per tutti.
Il film è scandito da meravigliosi silenzi e da scene lente,sapientemente costruite per trasmettere la giusta empatia con il dramma privato dei personaggi e per stimolare un’attenta riflessione sulle vicende politiche narrate. La regista, Anna Rita Zambrano, che ci ha concesso un’intervista in occasione dell’anteprima del 24 aprile al Cinema Adriano, ci racconta le motivazioni che l’hanno portata a scegliere il tema del film, gli obiettivi che si è posta nella sua realizzazione e le sue prossime sfide.
I film sono considerati delle vere e proprie opere d’arte, e come tali sono legate ad esempio ad una concezione intimistica, propagandisticae di sperimentazione dell’opera. Qual è l’obiettivo del tuo film: un lavoro “intimista” dettato dalla necessità di far rivivere un momento della nostra storia per lei particolarmente interessante, oppure un lavoro pensato per il pubblico con qualche intento particolare?
Innanzitutto faccio una premessa. L’arte come la intendo io, o comunque l’arte che ha fatto bene a me e che mi ha salvatada una vita mediocre, è un’arte che crea attrito e discussione. Perché se non c’è la discussione c’è un’accondiscendenza omologata che poi, a ben vedere, appartiene più alla pubblicità. Per me l’arte è qualche cosa che spinge alla rimessa in questione del soggetto trattato. E questo sia da parte del fruitore sia da parte dell’artista, per lo meno questa è l’arte che piace a me . Quando scrivo un film non posso dire che non penso al pubblico, anzi, però questo film l’ho fatto per riflettere e per farmi delle domande; questa è la prima cosa. Poi ho pensato che anche una volta visto il fil, gli altri se le sarebbero fatte. Questo è proprio il punto di partenza, e non c’è una risposta nel film, anche perché , in generale, le domande mi interessano più delle risposte.
Una delle caratteristiche del protagonista Marco, è il fatto di non voler cambiare idea sulle scelte e le azioni fatte; questa caratteristica è stata costruita pensando alle figure degli idealisti e dei combattenti come Marco, oppure è una riflessione su esperienze vissute appartenenti al suo quotidiano?
La ragione che mi ha portato ad affrontare queta tematica è essenzialmente etica, filosofica. Sono attratta e interessata dalle persone che pensano di avere ragione e che esercitano il potere, e lo esercitano o perché lo Stato glielo ha dato oppure perché se lo sono presi da soli. Queste persone mi affascinano. Mi affascinano perché hanno, per forza di cose, un grande ego. Quando tu eserciti il potere e si decide di darti le chiavi di questo potere per forza di cose devi avere un grande ego che lo gestisce. Le persone che hanno deciso di fare una guerra allo Stato italiano dovevano avere per forza anche loro un grande ego, perché pensare di fare guerra allo Stato e poi di vincerla pure…La cosa affascinante è che le persone che esercitavano il potere nello Stato e che i terroristi volevano combattere, pensavano esattamente come loro; pensavano cioè che non ci sarebbe mai stato un incontro tra le parti. Queste persone mi interessano perché quando l’uomo pensa di avere ragione a tutti i costi ad un certo punto va verso una direzione sconosciuta che per quanto mostruosa e fastidiosa è profondamente interessante. È interessante perché ti mette da una parte di fronte all’idea del super uomo e nello stesso tempo ti getta completamente nella povertà della tua umanità . Inoltre quando parlo di una persona che vuole avere sempre ragione non posso non parlare della componente maschile, paterna. Parliamo di un paternalismo che invade tutta l’Italia dal terrorismo alla religione allo Stato, insomma è tutto maschile. E poi ho notato che sono quasi sempre gli uomini che non cambiano idea. Almeno io mi sento schiacciata da questa figura maschile che invade lo spazio mentale ma anche lo spazio fisico. Vedrete poi nel film che il mio personaggio, Marco, invade sia lo spazio mentale che quello fisico (è grosso, ingombrante).
Cosa l’ha colpita maggiormente di questo periodo che racconta, esclusivamente da un punto di vista politico?
Quando ero ragazzina sentivo quel fervore, quell’adrenalina che c’era nell’aria. Se fossi stata dieci anni più grande sarei partita anche io con loro. Volevo fare quello, volevo fare parte di una ribellione. Sentivo appunto un fervore dal quale mi sentivo esclusa. Durante tutta la mia giovinezza, ho visto questo fervore e questo sogno trasformarsi in fallimento, un fallimento che non ho seguito politicamente bensì umanamente. Ho visto qualche cosa che si è sgretolato completamente e quando è arrivato il mio momento, eravamo l’ombra di noi stessi, la politica era diventata un ombra, non c’era più niente. Che cosa mi ha colpita di questo periodo storico? L’arroganza della giovinezza, dove morire o vivere era qualcosa che pesa poco; era una spensieratezza che un po’ alla volta si è trasformata in pesantezza e violenza. Mi ricordo di come questa ansia e voglia di giustizia un po’ alla volta si è trasformata in qualcosa di lugubre. Un’altra cosa che mi ha colpito politicamente è stata la presa di distanza di tutti. Mi ricordo che quando il partito comunista diceva “non sono figli nostri”, io mi ponevo già delle domande e mi chiedevo: allora di chi sono figli? Com’è possibile che nessuno abbia capito che cosa stava succedendo e perché? Com’è possibile che nessuno ha visto che in quei quarant’anni di democrazia cristiana si stava andando verso qualcosa che non rispecchiava le esigenze del popolo, dei giovani e delle persone che chiedevano più libertà, giustizia e parità?. Queste necessità non si carpivano. Mi interessa in generale molto il rapporto tra la politica e l’etica e mi interessa perché siamo umani e gli uomini sono contraddittori.
Questo è stato il tuo primo lungometraggio. E’ stato un esperimento che rifarà oppure si stente più a suo agio con i cortometraggi e i documentari?
Questa esperienza è stata la cosa più difficile che abbia fatto nella mia vita ed anche la più bella. Ovviamente ci ritorno e lo farò anche rapidamente. Sono felicissima del lavoro che faccio e per me è un grande onore che le persone mi abbiano dato fiducia e mi abbiano dato i soldi per esprimere il mio pensiero. Non posso che ritenermi fortunata per questo. Pensaci, mi pagano perché esprima quello che sento, è fantastico no? Sorridiamo di gusto.