La ricerca e l’innovazione sembrano essere, ai nostri giorni, le uniche vere monete di scambio e di competizione con gli altri paesi; sembrerebbe, in effetti, che per lo stesso sviluppo economico di una nazione e per dare risposte concrete e sostenibili alla società siano necessarie le cosiddette menti brillanti. La ricerca, in particolare, si rende necessaria per tener testa alle sfide moderne: salute, cambiamenti climatici, trasporti, energia etc. Che ruolo hanno le donne in tutto questo? Che peso è riservato alle donne nel mondo della ricerca scientifica?
Anche se le sfide economiche dei paesi si giocano a suon di talenti, sembra che l’Italia sia fra i paesi più inclini a non dedicarsi ai propri che, spesso e forse non tanto volentieri, sono costretti a migrare verso altri lidi.
Si pensa che per il 2025 circa il 61% della popolazione mondiale si stabilirà in Asia e dunque è evidente che l’Europa, Italia compresa, diventerà più piccola; questa rappresenterà il 6,5% della popolazione totale. I pronostici elaborati sembrano essere proporzionali a un nuovo modo di intendere la scienza e la ricerca in funzione di valori quali open science, open data e open access. Le tecnologie e l’informatica moderne, infatti, rendono disponibili un’enorme quantità di dati che facilita notevolmente la ricerca e lo sviluppo scientifico, un ambito in evoluzione, se dapprima le grandi scoperte scientifiche venivano fatte grazie alle intuizioni di particolari menti brillanti, oggi il comune denominatore è la collaborazione. Farsi scappare talenti è un errore. Poco ma sicuro, il futuro scientifico potrà contare su talenti femminili, sono iniziative come “Great careers for great women” a farcelo pensare. Il progetto, tutto europeo, permette alle ragazze fra i 14 e i 16 anni di trascorrere una giornata al fianco di una ricercatrice o un ingegnere donna e di osservarla nello svolgimento delle quotidiane attività. Premi come l’Eu Prize for Women Innovators che viene consegnato ogni anno alla migliore scienziata e imprenditrice ci fanno comprendere l’attenzione riservata alle donne in questo campo. Il problema è che a causa della crisi economica troppo spesso le donne, così pregiate, poi lavorano all’estero. L’Italia è l’espressione di un capitalismo umano in crisi, il Paese forma una schiera di donne talentuose per le altre nazioni e non è una mossa intelligente.
Secondo il rapporto UE “She figures” il 55% delle donne studia, il 46% ha un dottorato, il 20% insegna nelle fila universitarie, l’11% insegna materie scientifiche all’università, il 15,5% occupa posizioni manageriali in laboratori e dipartimenti, il 10% è rettore e il 33% ricercatore. Le ragazze rappresentano più del 50% della popolazione totale, sono quelle che si laureano prima e frequentano di più le università, tuttavia, le presenze ad alti livelli imprenditoriali e manageriali non corrispondono alle attese. Anche se l’attenzione al ruolo femminile sembrerebbe indirizzarsi verso una strada migliore, sono ancora molte le cose da modificare affinché le presenze femminili siano registrate nelle posizioni adeguate al loro percorso formativo.
Il sistema di reclutamento, in effetti, dovrebbe essere leggermente più attento alla tutela delle donne, così come suggerito dalla Carta Europea dei Ricercatori e dal Codice di Condotta per i Datori di Lavoro, questi ultimi dovrebbero cercare il giusto mix fra il personale di genere. Bisognerebbe porre in esser una politica di sostegno alle esigenze familiari delle donne, poiché molto spesso i datori di lavoro si ritrovano a fare i conti con l’economicità della donna e dell’eventuale conciliazione figli – lavoro. Un discorso che in Italia ancora sembra molto lontano.