I disastri naturali nel mondo fanno oggi un numero di vittime altamente inferiore a un secolo fa. Per fare un piccolo esempio, nel 1970 un ciclone che colpì il Bangladesh causò 300.000 morti. Nel 1985 un’altra tempesta provocò la morte di 15.000 mentre nel 2020 il ciclone Amphan, nella stessa zona fece 26 morti. Cosa è cambiato in questo secolo? Ce lo spiega Hannah Ritchie nel suo contributo pubblicato da ourworldindata.org.
Cos’è un disastro naturale
Cosa sono i disastri naturali? Di primo acchito potremmo rispondere con un elenco di parole che vanno da alluvione a carestia, da uragano a ondata di calore. In realtà questi sono fenomeni naturali che si trasformano in disastri nel momento in cui impattano sulla società o sulle persone. Pertanto la natura di un disastro è collegata al rischio di arrecare danni nei luoghi in cui si manifestano. Per calcolare il fattore di rischio bisogna considerare tre fattori:
- il fenomeno. Il primo passo è capire cosa sta per verificarsi tra un’alluvione, un uragano, un’ondata di caldo o siccità. Bisogna misurare la grandezza del fenomeno e la sua potenziale durata.
- le persone e le infrastrutture esposte al pericolo. Il secondo step prevede che si consideri il luogo in cui si sviluppa il fenomeno. Un terremoto avrà un impatto diverso a seconda che si sviluppi in un villaggio rurale o in una città. E’ necessario considerare il numero delle persone che vive nella zona colpita, se ci sono edifici, ponti o strade in pericolo.
- la vulnerabilità delle persone esposte al pericolo. In una città colpita da una forte ondata di calore, se le persone hanno in casa l’aria condizionata saranno meno esposte al rischio. Così gli abitanti di una città rischieranno meno degli abitanti di un villaggio in caso di inondazione o uragano. In linea generale la vulnerabilità è collegata al reddito. Comunità più povere avranno meno mezzi per difendersi dai pericoli.
Il rischio che un disastro comporta è l’intersezione tra questi tre fattori.
Disastri naturali nel mondo: cos’è cambiato in cento anni
Alla luce di quanto esposto possiamo capire perché nell’ultimo secolo i disastri naturali hanno causato sempre meno morti.
I fenomeni naturali non sono diminuiti. Negli ultimi anni, a dire il vero, a causa del cambiamento climatico i fenomeni naturali sono diventati più frequenti e anche più violenti. Allo stesso modo è aumentata anche l’esposizione al pericolo delle persone per il semplice fatto che in un secolo la popolazione del pianeta è aumentata di quattro volte. In più le località costiere, più sensibili a mareggiate, cicloni e inondazioni, sono anche più popolate aumentando in questo modo il numero delle persone a rischio. La differenza sta nella vulnerabilità che nel corso del secolo è notevolmente diminuita. Oggi le persone abitano in edifici più solidi, dotati di riscaldamenti e di aria condizionata. Le previsioni meteo permettono di prevedere in qualche modo l’arrivo di catastrofi. Non è un caso se i più alti tassi di mortalità si registrano in luoghi dove la gente è più povera.
Come rispondere ai disastri in futuro
Cosa possiamo fare per prevenire o contenere al massimo i danni dai disastri futuri? In primo luogo bisogna accettare che non potremo mai fermare completamente i pericoli. Alluvioni, terremoti e cicloni ci saranno sempre. Ciò che possiamo fare è che peggiorino e l’unico modo per intervenire è agire sul cambiamento climatico.
Inoltre bisogna ridurre l’esposizione al rischio capendo quali sono le regioni più esposte ai vari tipi di rischio. Considerare gli spostamenti delle persone ha un grande valore. Fondamentale è, poi, il potenziamento dei sistemi di allerta in modo da facilitare le operazioni di evacuazione di zone a rischio.
Quanto alla vulnerabilità che abbiamo visto essere un fattore ancora persistente, è necessario mettere in atto strumenti per far uscire le persone dalla povertà. Le azioni da mettere in campo su questo versante sono tantissime e vanno tutte affrontate nel più breve tempo possibile.
C’è ancora poca consapevolezza, infatti, sul dettaglio che il cambiamento climatico è già in atto, non possiamo più parlarne al futuro ma al presente.
In copertina foto di Paul Brennan da Pixabay