Responsabilità dei giornalisti: esiste ancora?
Il Diritto all’oblio sul web per gli assolti in giudizio diventa realtà. Dal 1° gennaio entra in vigore l’emendamento sul diritto all’oblio e sulla deindicizzazione (cioè sulla cancellazione) del proprio nome dai motori di ricerca di internet. Quindi, può farne richiesta chiunque sia stato assolto in sede di giudizio nell’ambito di un processo penale.
Enrico Costa, ex ministro degli affari regionali e, oggi, deputato di Azione, combatte su questo fronte già dal 2021. Su un Tweet di fine anno, il deputato ha affermato:
“i motori di ricerca dovranno dissociare i nomi degli assolti dalle notizie circolanti in rete sulle inchieste da cui sono risultati innocenti. Basta innocenti marchiati a vita da indagini finite nel nulla”.
L’entrata in vigore dell’emendamento (D.L. 31 ottobre 2022, n. 162) che dà il via libera alla cosiddetta legge Cartabia (legge 27 settembre 2021, n. 134) ha mandato su tutte le furie alcuni giornalisti e rinomate testate secondo cui con questo provvedimento verrebbe meno il diritto di cronaca. Ma ne siamo proprio sicuri?
Certo, se il giornalista o la testata che ha seguito il caso e urlato “al delinquente!”, ha poi, con la stessa foga, etica e professionalità, urlato (dopo l’assoluzione) “innocente! Innocente!”, allora ci sta.
Ma questo non accade praticamente mai, semplicemente perché l’innocenza non fa notizia. Omettendo tale “dettaglio”, cioè l’innocenza della persona interessata dalle indagini, restano sul web solo articoli che ne macchiano la professionalità, la credibilità e la reputazione. A vita. Per non parlare poi delle ricadute psicologiche, anche a distanza di tempo. Mi crederanno ancora innocente i miei amici? E i colleghi di lavoro mi stimeranno ancora? Anche dopo l’assoluzione?
Il diritto di cronaca esiste quando la cronaca è fatta bene
Il diritto di cronaca esiste quando la cronaca è fatta bene, quando cioè il giornalista che manda in pasto al mondo un fatto giudiziario di interesse pubblico, eticamente e professionalmente, continua a seguirne la vicenda, arrivando fino alla sua conclusione, e raccontandola.
Ma la conclusione la si omette quasi sempre, e per giustificare l’incapacità a questo semplice esercizio di logica, si urla alla violazione del diritto di cronaca. Ricordiamo, però, che i giornalisti hanno una grande responsabilità, ed è quella di raccontare i fatti con onestà, etica, professionalità e passione. Gli indagati non possono essere trattati alla stregua dei colpevoli, la presunzione di innocenza non può essere calpestata, le tesi dell’accusa non possono essere vendute per sentenze sui giornali o sul web pur di far notizia.
Inoltre, per dovere di cronaca, il diritto all’oblio sul web per gli assolti non implica necessariamente la cancellazione dell’articolo. La tutela del diritto alla cronaca, infatti, si mantiene intatto, perché, in realtà, il provvedimento contempla che possa essere tolto anche solo il nome della persona interessata. A volte però, la faccenda è complicata (bisogna riscrivere l’articolo, riaggiornare tutti quelli linkati e via dicendo) e quindi alla fine, l’editore, opta per la cancellazione dell’intero articolo.
Ma se invece, si pubblicasse anche l’articolo che suggella l’assoluzione dell’indagato con gli stessi caratteri cubitali utilizzati nel titolo dell’articolo di accusa, forse non ci sarebbe neanche motivo di chiedere, da parte dell’interessato, il diritto all’oblio. Giustizia è fatta, e lo saprebbero tutti.
Diritto all’oblio sul web per gli assolti, e non solo
Il provvedimento entrato in vigore con il nuovo anno è di più ampio respiro. L’emendamento, infatti, non riguarda solo le persone interessate da inchieste, ma anche coloro i quali chiedono la rimozione di un contenuto web che li riguarda e che riporta informazioni inesatte.
Le motivazioni della richiesta sono generiche e spaziano dall’ambito professionale a quello familiare (specialmente in caso di presenza di minori).
Una sentenza della Corte di Giustizia europea (Sentenza della Corte nella causa C-460/20), infatti, afferma che il gestore di un motore di ricerca deve deindicizzare le informazioni incluse nel contenuto indicizzato quando il richiedente dimostri che sono manifestamente inesatte.
La sentenza, peraltro, specifica che non è necessario che la prova sia la risultanza di una decisione giudiziaria nei confronti dell’editore del sito internet. E’ necessario che il richiedente dimostri l’inesattezza delle informazioni a tutela della propria vita privata e professionale e a tutela di tutti quegli utenti di internet potenzialmente interessati a quella determinata informazione (e qui ritorna il concetto di responsabilità dell’informazione, e perché no di deontologia, etica e via dicendo)
La sentenza della Corte di Giustizia europea
La sentenza della Corte di Giustizia europea (Sentenza della Corte nella causa C-460/20) fa riferimento alla richiesta di due dirigenti di un gruppo di società di investimenti che hanno chiesto a Google di cancellare i risultati di ricerca legati ai loro nomi, contenenti link verso alcuni articoli che presentavano affermazioni inesatte relative al modello di investimento di tale gruppo.
La Corte ha affermato che quando la persona che richiede la deindicizzazione presenta idonei e pertinenti elementi di prova sufficienti a dimostrare il carattere palesemente inesatto delle informazioni incluse nel contenuto indicizzato, il gestore del motore di ricerca è tenuto ad accogliere tale domanda.
La questione non termina qui, però è un buon punto di partenza per quanti siano interessati all’argomento e vogliano saperne di più. Il Diritto all’oblio sul web per gli assolti è un passo di civiltà, che consente alle persone interessate, processate ingiustamente, di poter riprendere in mano la propria vita e continuare il percorso professionale senza che una macchia indelebile ne pregiudichi il futuro.
Foto di copertina di Francesca Amore