Digitalizzazione Italia: la pandemia vi ha dato un forte impulso anche se a macchia di leopardo. Ha seguito cioè la strada indicata dalle esigenze di un Paese entrato in lockdown da un giorno all’altro. In quei mesi 6,6 milioni di lavoratori sono diventati smartworkers; abbiamo dialogato con le pubbliche amministrazioni e ottenuto documenti anagrafici da remoto; i nostri ragazzi hanno studiato in DAD. Solo alcuni esempi, questi, che ci hanno aperto un nuovo orizzonte che ora, però, va inseguito in modo più ragionato. Per capire che direzione debba prendere il nostro Paese per raggiungere un livello di digitalizzazione degno dell’era post pandemica, abbiamo intervistato Davide D’Arcangelo, Responsabile relazioni esterne e Pnrr della Fondazione Italia Digitale e vicepresidente di Network Impatta.
Dottor D’Arcangelo, durante la pandemia l’Italia ha conosciuto un forte impulso alla digitalizzazione anche se in maniera funzionale alle esigenze del momento. Quali azioni bisogna mettere in campo ora per attuare una vera cultura digitale?
Sembra un’epoca già lontana, ma appena due anni fa il mondo del lavoro e della scuola hanno conosciuto uno vero e proprio choc tecnologico, scoprendosi resilienti ma, allo stesso tempo, ancora lontane dall’avere dotazioni tecnologiche efficienti. Solo nel 2020 si è passati da 570mila smartworkers a 6,6 milioni, per non parlare della didattica a distanza per la quasi totalità degli studenti. La pandemia ha determinato un passo avanti per la nostra società, evidenziando la possibilità di gestire in maniera diversa l’istruzione ed il lavoro, ma ha anche messo in difficoltà famiglie e lavoratori poco abituati alla tecnologia.
Non possiamo dimenticare i problemi affrontati da quella fascia di popolazione non connessa (oltre 200 i comuni senza ‘rete’ ancora oggi in Italia) che ha avuto enormi problemi nell’utilizzare servizi a distanza. Così come non possiamo dimenticare i problemi delle tante Pmi italiane poco inclini all’innovazione. Per compiere i giusti passi verso una economia supportata dal digitale, occorre innanzitutto il completamento delle infrastrutture di telecomunicazione del Paese, così da digitalizzare i comparti chiave, penso alla scuola e alla sanità ed in generale ai servizi pubblici. E poi dare il via ad una campagna di alfabetizzazione digitale che parta dagli studenti e arrivi ad enti locali ed imprese. In questo auspichiamo che il Pnrr possa imprimere la svolta decisiva.
Quali sono le priorità per rendere l’Italia un Paese digitale?
Come Fondazione Italia digitale abbiamo stilato un vero e proprio decalogo, presentando al governo le nostre puntuali proposte.
Al primo punto poniamo la necessità di investire sul raggiungimento di una matura cultura digitale, lavorando a tutti i livelli sull’educazione digitale e sulle competenze digitali di base. Inoltre occorre riconoscere e dare il giusto ruolo alle tante professionalità digitali che possono rendere competitivo il nostro Paese sul fronte dell’innovazione.
Certamente il Pnrr rappresenta l’occasione per costruire una politica industriale che punti sul digitale: avere una politica digitale per la PA significa alimentare la filiera del Govtech, creare nuovi standard da esportare.
Questa l’occasione per digitalizzare ed efficientare la PA, creare una nuova filiera industriale, creare un nuovo paradigma di competitività pubblico privato senza alimentare una futura spesa corrente per gli enti locali.
Parlando invece di sicurezza, quanta strada c’è ancora da fare?
Molta la strada da fare: occorre sicuramente mettere al centro la cyber security, farne una nuova Industria 4.0, con una previsione dedicata in tutti i bandi pubblici. Durante la pandemia si sono moltiplicati gli attacchi informatici, evidenziando un nervo scoperto di tante imprese ma anche degli enti locali: occorre sensibilizzare sia il comparto pubblico sia quello privato affinché i propri sistemi informatici vengano resi più sicuri. Quasi la metà della Pmi italiane ha problemi nell’investire in cybersicurezza, e questo scoglio va superato, mentre per il 60% delle realtà più grandi, gli investimenti in sicurezza informatica sono decisamente aumentati in corrispondenza della pandemia.
Formazione: esistono attualmente adeguati percorsi per formarsi sul digitale?
In tema di formazione digitale siamo davvero agli inizi. E’ positivo che, sulla scorta della riforma degli Its, molti percorsi siano orientanti al formare le nuove professioni digitale. E questo anche grazie al supporto dei privati che sono interessati a ‘plasmare’ i futuri addetti. Certo, occorrerebbe incentivare l’area Stem già a partire dalla scuola, ingaggiare le donne nelle materie scientifiche per creare condizioni di maggiore competitività nel Paese. Nota dolente resta l’ambito pubblico, che dedica pochissimo tempo alla formazione dei dipendenti (meno di un giorno lavorativo): a questo si ovvierà con la formazione continua online che rappresenta uno degli asset strategici che il Pnrr dedica alla Pa.
In copertina foto di StartupStockPhotos da Pixabay