di Vincenzo Alfano
Dapprima il colore della pelle, poi il saper leggere e scrivere. Oggi la lotta alla discriminazione si combatte sull’alfabetizzazione informatica
Digital divide, traducendo letteralmente dall’inglese divario digitale. E’ un neologismo utilizzato inizialmente dalla amministrazione americana Clinton-Gore, con il quale si intendeva indicare la non omogenea fruizione dei servizi telematici tra la popolazione statunitense. Ad oggi, con questi termini, si intende il divario esistente tra chi può accedere alle nuove tecnologie, come internet ed il personal computer, e chi invece non può, a livello globale. Le cause sono ancora ad oggi oggetto di studio, ma è chiaro che le condizioni economiche, di istruzione e, purtroppo ancora oggi in molti paesi, l’assenza di infrastrutture siano i principali motivi di esclusione di una parte della popolazione dalla fruizione e dai benefici delle nuove tecnologie. Benefici che, nel mondo di oggi, sono diventati un fattore imprenscindibile nella vita lavorativa: praticamente in ogni campo infatti è l’informatica a farla da padrona, e per chi non sa usare un PC almeno a livello elementare oggi non c’è posto, per lo meno nella stra-grande maggioranza delle carriere. Ed a ragione di logica, visto che oggi l’amata-odiata macchina, croce e delizia di ogni ufficio, si usa per tutto: dallo scrivere una lettera, al compilare una fattura, dal comunicare, grazie alle email, alla ricerca di informazioni. E’ proprio per questo che il digital divide è un problema così grande, ed è per la stessa ragione che nell’ambito del settimo programma quadro dell’Unione Europea, nel quinquennio 2007-2013, sono previsti diversi fondi per l’attuazione di misure atte a prevenire questa discriminazione. Il fenomeno potrebbe incrementare infatti le già esistenti diseguaglianze di tipo economico a livello globale, ed avere effetti drammatici anche nell’accesso all’informazione, implicando ulteriori conseguenze a livello socio-politico che non è difficile immaginare. Il problema è considerato molto serio, tant’è che le Nazioni Unite hanno espresso l’impegno a risolvere il problema attraverso i Millennium Goals, gli obiettivi di sviluppo del millennio, presentati all’Assemblea del Millennio. In proposito è stato istituito dall’Assemblea delle Nazioni Unite un gruppo di esperti di alto livello che ha presentato nella stessa assemblea il primo piano di azione globale finalizzato al superamento di questo divario. Successivamente, il digital divide è stato ancora argomento centrale nel primo Summit sulla Società dell’Informazione, indetto proprio dalle Nazione Unite. Il problema però, oltre che a livello mondiale, tra appartenenti a diverse nazioni, si riscontra anche tra la popolazione d’una stessa comunità : e l’Italia non ne è immune. Già nel 1997 il governo italiano ha stilato un piano, finanziato con il 10 per cento delle entrate ottenute con la gara Umts, che considera la transizione verso la Società dell’informazione come una priorità strategica per la nazione. Il piano, parte dal presupposto che le tendenze allo sviluppo e all’adozione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono largamente spontanee e decentrate. Così, il programma di sviluppo delle tecnologie didattiche 1997-2000 ha interessato moltissime scuole di ogni ordine e grado. Tre gli obiettivi previsti: promuovere fra gli studenti la padronanza della multimedialità , accrescere l’efficacia dei processi di insegnamento-apprendimento e la stessa organizzazione della didattica e migliorare la professionalità degli insegnanti. E giù con corsi di informatica fin dalle elementari, patenti europee per il computer, esami di informatica obbligatori all’università , e quant’altro. Il Programma ha previsto un investimento complessivo di mille miliardi negli anni 1997-2000. La legge finanziaria per il 2000 ha poi destinato 450 miliardi negli anni 2000-2002 all’acquisto di attrezzature informatiche da parte delle istituzioni scolastiche che intendono completare questo progetto. È stata prevista inoltre la totale esenzione da ogni onere fiscale ai fini dell’Iva, e delle imposte sui redditi, per le cessioni a titolo gratuito di dotazioni informatiche (purché non ulteriormente commercializzabili) agli istituti penitenziari e a scuole. Un piano forte, con cui il governo ha voluto dare uno scossone alla situazione, cercando di combattere il problema. Ma non ottenendo i risultati sperati. Secondo molti studiosi, in Italia il digital divide si manifesta nell’esclusione di milioni di cittadini dal collegamento veloce ad Internet garantito dalla tecnologia DSL, conosciuta anche come banda larga. La banda larga, definita alla luce della tecnologia attuale a partire da un valore soglia di 1.2 megabit/secondo, non è contemplata né dalla legislazione italiana né da quella europea come obbligo di servizio universale: e la copertura del territorio italiano con accessi a Internet a velocità superiori ad 1 megabit/secondo resta al di sotto della media europea (che vanta punte di eccellenza com il 95% del Regno Unito, ed oltre il 90% della Francia) e di Stati con un territorio più vasto dell’Italia e una più bassa densità abitativa e quindi più piccoli centri da coprire. Ad oggi, chi non ha Internet è fuori dal mondo: gli sono precluse migliaia di possibilità , dal cercare lavoro, all’istruirsi, all’informarsi. In Campania, purtroppo, siamo tra le ultime ruote del carro della nazione. Un recente sondaggio, infatti, mostra che oltre il 60% degli abitanti della regione non ha la minima alfabetizzazione informatica. Percentuale che scende al 40% considerando solo gli abitanti nella provincia di Napoli. Ma non c’è da stare allegri. E dire che il 28 Dicembre 2004 si è inaugurata la Piazza Telematica di Scampia, realizzata dalla Seterna s.p.a., che mira ad essere uno strumento urbanistico-tecnologico incentrato prevalentemente sull’utilizzo delle ICT, Information Communication Technology, ovvero delle reti telematiche in larga banda in fibra ottica, ai fini di una riqualificazione del territorio, così tanto bistrattato, e di un uso più avanzato della gestione delle risorse presenti su di esso. La Piazza Telematica è stato un Progetto Pilota Urbano finanziato dall’Unione europea, con lo scopo di sperimentare nuove forme di sviluppo e di sostegno alla coesione sociale e, ovviamente, di lottare contro il digital divide. Il progetto presentato dal Comune di Napoli aveva come obiettivo quello di promuovere uno “sviluppo sostenibile e una Società dell’Informazione per tuttiâ€: ed ha realizzato un’infrastruttura di circa 3600 metri quadri, comprendenti due piani, un parcheggio, una piazzetta pedonale ed un internet café. Peccato che, ad oggi, la tanto attesa ed agognata piazza si sia ridotta ad un internet café con un centro di corsi di formazione, tra cui spiccano quelli di taglio e cucito. Un clamoroso buco nell’acqua, che non ha centrato l’obiettivo della lotta al digital divide, e che si è rivelato solo l’ennesimo spreco di soldi pubblici, un qualcosa pensato bene, realizzato al meglio, ma poi non fatto fruttare, finito il periodo delle dichiarazioni roboanti ai media. E così, mentre negli Stati Uniti le reti wire-less sono praticamente ovunque, mentre a Milano gran parte della città è cablata, mentre a Roma ci sono innumerevoli hot-spot, a Napoli i computer sono ancora una cosa per pochi. Una situazione a cui occorre dare uno scossone, ed al più presto. Se non vogliamo che, come negli anni del brigantaggio successivi alla liberazione, occorra una nuova lotta all’analfabetismo nel Sud: a quello informatico però, stavolta.