Con il termine digital divide ci si riferisce alle disuguaglianze, che coinvolgono alcune categorie sociali o interi Paesi, nell’accesso e nell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ICT. È un problema che coinvolge gli aspetti sociali, culturali ed economici della vita di una comunità e per intervenire su di esso è necessario quantificarne l’ampiezza e seguirne poi l’evoluzione, valutando la situazione ed i bisogni dei differenti Paesi, in modo da poter indirizzare gli investimenti e verificarne il rendimento.
Il digital divide non è dunque una questione meramente tecnica, ma molto più ampia e che mette in gioco più fattori tra loro correlati: il saper leggere e scrivere; l’educazione e la formazione permanente; l’analfabetismo tecnologico; le abilità intellettuali e pratiche degli individui, delle minoranze e dei disabili; la padronanza dell’innovazione tecnologica; la produzione di contenuti; l’espansione di specifiche comunità; l’inserimento nel mondo del lavoro; la capacità di partecipare attivamente alla nuova economia; lo sviluppo di uno spazio di interesse pubblico e di servizi sociali governativi; la ricerca, lo sviluppo e non ultima la qualità della vita.
Il rischio che si corre è che la società tenda a dividersi in due gruppi: una classe alta costituita da un’élite di “uomini tecnologici” che sanno muoversi abilmente nel nuovo mondo, e una classe bassa, formata dai soggetti che ne sono tagliati fuori. E proprio questa nuova generazione di “illetterati tecnologici” potrebbe aggiungersi al già cospicuo gruppo dei socialmente deboli, aggravando il problema dell’emarginazione. La diffusione delle ICT sta ridisegnando in qualche modo le mappe di povertà e ricchezza, aumentando il divario già esistente tra Nord e Sud del mondo e creando nuove zone di esclusione, anche all’interno dei Paesi più sviluppati. Queste disparità si ripercuotono inevitabilmente sulla qualità della vita e sulle opportunità professionali e culturali, andando ad amplificare, sul piano tecnologico, i tradizionali meccanismi di stratificazione sociale.
In Italia, per l’accesso base quasi tutta la popolazione è coperta, mentre per quanto riguarda la banda ultra-larga, siamo ampiamente al di sotto della media UE. Appena il 56% delle persone usa Internet almeno una volta alla settimana e poco più del 50% si collega alla rete quotidianamente contro il 62% del resto d’Europa; inoltre il 34% dei nostri concittadini non ha mai usato il web rispetto al 20% della media UE. Qui la mappa dettagliata con i dati del ministero dello sviluppo economico aggiornati al 2012 e comprendenti anche le infrastrutture in fibra ottica realizzate in base al piano banda larga.
L’attuale situazione italiana vede la Campania “maglia nera” nel digital divide: 1 persona su 2 non ha mai utilizzato un computer, dato questo emerso dal 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2014. Questo dato però va analizzato alla luce del ritardo complessivo dell’Italia sul fronte della modernità delle infrastrutture rispetto agli altri membri dell’Unione europea. Il dato campano sarebbe quindi da ascrivere, almeno in parte, ad una difficoltà o lentezza nei collegamenti alla rete, problema che riguarda meno la città di Napoli ed in misura maggiore le zone di provincia.
C’è da dire però che la Campania è stata la prima Regione d’Italia a dare attuazione al Piano nazionale della banda ultra larga proposto dal Ministero dello Sviluppo Economico. L’obiettivo è quello di risolvere il deficit di copertura di servizi in banda larga, pari oggi a 200mila cittadini, nei prossimi 2 anni, garantendo una copertura del 99% della popolazione campana residente in aree a digital divide. Gli interventi, sottolineati dallo slogan “+ Lavoro, + Connessione, + Libertà”, comporteranno un investimento di 35 milioni di euro per Banda Larga in Digital Divide e circa 123 milioni di euro per il Progetto “Allarga la rete: banda ultra larga e sviluppo digitale in Campania“.