Quattro mesi dopo la sua morte e trent’anni dopo l’inizio di questa battaglia col fisco italiano, Diego Armando Maradona vince il ricorso in Cassazione. La Corte di Cassazione mette la parola fine ad una (forse troppo) lunga battaglia.
Diego Armando Maradona e la battaglia col fisco italiano, 30 anni dopo la parola fine
Ci sono voluti 30 anni ma alla fine Maradona non era un evasore. L’ultimo atto di questa lunga, lunghissima, battaglia è stato in Corte di Cassazione dove viene scritta la parola fine alla questione. Il Pibe de oro, morto lo scorso 25 novembre, quindi non ha alcun problema col fisco italiano che per 30 anni gli ha contestato dei gravi inadempimenti fiscali e i diversi avvisi di mora che gli sono stati poi recapitati.
“Finalmente anche la Cassazione mette la parola fine alla vicenda tra Maradona e il fisco, in cui quest’ultimo esce condannato. Sono veramente felice e credo che Diego dall’alto stia sorridendo: lui sapeva di essere innocente e non intendeva neanche difendersi, poiché non ne sentiva il bisogno. Poi ci siamo difesi e la Cassazione oggi ha riconosciuto la sua innocenza. Diego è l’esempio del bene che vince sul male. Ci sono stati degli ostacoli, ma lui alla fine li ha superati. Diego Armando Maradona è immortale. Sono sicuro che – concluse tutte queste vicende giudiziarie – la verità trionferà. Diego è un uomo di sport”.
Queste sono state le parole dell’avvocato di Maradona, Angelo Pisani che ha commentato la decisione della Corte di Cassazione sulla questione Maradona-Fisco Italiano.
Una lotta iniziata trent’anni fa
Il tutto nasce nel 1991 quando l’Agenzia delle Entrate accusa il Napoli di aver pagato “in nero” parte dei compensi di tre dei suoi giocatori ovvero Alemao, Careca e Maradona. I pagamenti erano arrivati, sempre secondo il fisco italiano, utilizzando fittiziamente alcune società estere che si occupavano della gestione dei diritti pubblicitari degli atleti; poiché la società di calcio aveva acquistato una cospicua percentuale di tali diritti, ma nel corso degli anni non aveva mai ricevuto alcuna somma dalle società che si occupavano di diritti pubblicitari. L’Agenzia aveva ritenuto che l’acquisto dei diritti in realtà celasse dei pagamenti in nero di parte dei compensi per le prestazioni dei calciatori. Un’ipotesi “non dimostrata” per la Commissione tributaria di secondo grado di Napoli che, con sentenza del 6 settembre 1994, accoglie sia l’appello della SSC Napoli che quelli di Careca e Alemao.
Unico “lasciato fuori” fu Maradona, visto che non era stato presentato alcun appello: il campione argentino infatti era l’unico a non aver impugnato gli avvisi di accertamento. Nel corso degli anni nei suoi confronti sono stati notificati avvisi di mora (nel 1993 tramite il Consolato di Siviglia, nel 1998 all’aeroporto di Milano Malpensa e ancora nel 2001).
Ricorsi e… controricorsi
Diego impugnerà solamente l’avviso del 2001 ma nel 2005 la Cassazione rigetta tale impugnazione ma l’anno prima era stato dichiarato il fallimento della Società Sportiva Calcio Napoli spa. Il curatore fallimentare ha optato per la definizione delle liti fiscali pendenti pagando il 10% del valore complessivo dell’obbligazione tributaria. Maradona, quale co-obbligato in solido, ha quindi chiesto l’estensione in suo favore degli effetti del condono, richiesta rigettata dalla Commissione tributaria centrale di Napoli nel 2013. Nel 2014 Maradona, attraverso il suo avvocato Angelo Pisani, ha presentato ricorso in Cassazione, al quale è seguito un controricorso dell’Agenzia delle Entrate. Ecco, quindi, arrivato ad ottobre 2020 dove inizia l’ultimo atto che ad inizio Marzo 2021 ha dato definitivamente ragione a Maradona.
Trent’anni di udienze e processi, era necessario?
Dopo tutta questa storia, la domanda sorge spontanea. Era davvero necessaria questa battaglia di quasi 30 anni? Potremmo “archiviarla” come il classico caso di “innocenza tardiva” ma rivedendo tutto quello che è successo soprattutto coi compagni di Diego ovvero Alemao e Careca, i dubbi rimangono.