Monica Mazzitelli, scrittrice e regista, è una donna vitale e appassionata, fortemente interessata alla questione femminista, qualità trasfuse nella stesura del suo bel libro “Di morire libera” che racconta con precisione storica la vita e le scelte di Michelina Di Cesare brigantessa nell’Italia postunitaria .
La Storia, si sa, viene scritta dai vincitori e, fino ad oggi, dagli uomini che solitamente ignorano o accennano superficialmente al ruolo delle donne nelle storiche vicende, nell’arte e nella scienza.
Tocca alle donne, allora, studiare e recuperare le figure femminili fuori dagli schemi, lasciate nel doppio oblio o liquidate con pochi cenni.
A tutto c’è un’eccezione e il primo incontro tra Monica Mazzitelli e la Brigantessa Michelina ebbe luogo in occasione della mostra sul Brigantaggio curata da Vincenzo Di Brango per la Festa della Liberazione di Roma, nel 2003. E’ li che la scrittrice vide la terribile foto di Michelina ritratta da morta, nuda e incinta ed esposta nella pubblica piazza di Mignano. E’ lì che scattò la scintilla, l’idea di scriverne la storia in forma di romanzo, un lungo lavoro archivistico che si è avvalso dell’iniziale aiuto bibliografico di V. Di Brango e dell’accurata collaborazione di Valentino Romano studiosi, entrambi, del brigantaggio e autori di libri sulla sua storia.
“Di morire libera” è scritto in forma di diario e racconta giorno dopo giorno la storia epica e dolente di una donna anomala, un libro dal ritmo incalzante che si legge tutto d’un fiato spinti dal desiderio di saperne di più, di conoscere Michelina e le ragioni della vita dura che scelse per se unendosi ai Briganti.
Brigantessa per amore, viene definita, e difatti Michelina seguì il suo uomo, Francesco Guerra ex ufficiale dell’esercito Borbonico e capo di una banda di briganti, divenendone la moglie e dandogli dei figli.
Nessuna consapevolezza, dunque, nella sua scelta, ci siamo chiesti? Se l’amore fu la sua prima ragione c’è da dire che Michelina coltivava in sé un’inquietudine personale, forse anomala per i tempi, che la spingeva a mantenersi scontrosa, silenziosa, nella casa del suocero in cui viveva, per difendere un pò della sua libertà conquistata a caro prezzo.
Già vedova a 22 anni, lavorava la terra, faceva i mestieri ed era diventata la donna della banda che raggiungeva di notte, col fagotto del bucato, senza che nessuno le dicesse nulla.
Era l’unica della sua famiglia a saper leggere, glielo aveva insegnato, e solo a lei, Don Gino, il parroco, contro il volere di suo padre che per farla desistere la riempiva di botte. Alle botte paterne Michelina rispose, appena poté, con le botte fino ad averne la meglio, conquistando da sola ciò a cui teneva.
E’ questo il ritratto di una donna forte che non si uniforma, una donna autonoma e coraggiosa in cerca di libertà che a quel tempo significava semplicemente avere una terra da poter lavorare e dove crescere i propri figli in pace. Questo voleva Michelina.
Dal 1863 al ’68, anno del suo assassinio, Michelina condusse vita da Brigantessa, visse con la banda, nel rischio e nel disagio della clandestinità, fece figli.
Dopo l’invasione del Regno delle Due Sicilie del 1860 e la conseguente unificazione dell’Italia sotto la monarchia sabauda, tutti i dissidenti che avevano preso le armi contro l’invasore reputandosi militari clandestini dell’ex esercito di Francesco II, si diedero alla macchia, diventando “briganti”, braccati e confinati ai margini della società. Michelina Di Cesare era la donna destinata a diventare l’icona di quell’era.
L’autrice la segue passo dopo passo con una partecipazione emotiva che fa di Michelina un personaggio vivo che si vorrebbe conoscere, proteggere, salvare. Forte è l’adesione alla causa e alle vicende per chi scrive e per chi legge e il “tradimento” finale, la delazione del cugino Giovanni, che ne “vende” la vita per la promessa di un impiego da guardiacaccia, e che condurrà i soldati del Generale Pallavicino all’individuazione e all’uccisione di molti membri della banda, di Guerra e della stessa Michelina, fa male due volte.
Michelina Di Cesare venne uccisa dopo il suo compagno, mentre tentava la fuga, le spararono alle spalle e solo successivamente la individuarono come donna. Michelina vestiva da uomo, coi pantaloni, per muoversi e cavalcare più agevolmente. I pantaloni che indossava al momento della morte erano molto larghi in vita, Michelina era incinta di cinque mesi. Il suo corpo insieme a quello del Guerra venne trascinato nella piazza, denudato ed esposto alla vista di donne, uomini e bambini.
Di lei restano tre foto, due fasulle fatte ad una modella in posa con gli abiti della festa, così per appagare la curiosità morbosa nata intorno alla figura della brigantessa, e una, autentica, che la ritrae da morta, col viso contratto e sporco e il seno scoperto in totale mancanza di rispetto umano.
A lei Monica Mazzitelli dà voce un’ultima volta per ristabilire la sua verità “Non cercatemi nelle foto scattate con il vestito paesano, con il fucile in mano e il revolver, io non sono quella. Io sono quella della foto morta ammazzata…con le pallottole sparate sulla schiena che non vedete, quella a cui hanno sputato in faccia…Sono quella che non voleva una vita sottomessa. Sono quella che non ha potuto crescere i suoi figli. Non abbiate pietà di me, la mia vita l’ho scelta e l’ho vissuta, e sapevo pure come sarebbe finita. Andava bene anche di morire, ma di morire libera.”
“Di morire libera”, ed. Santiago 2016, è stato presentato a Castel dell’Ovo, presso il museo di Etnopreistoria del CAI, e col patrocinio del Comune di Napoli. Ad organizzare l’evento Maurizio De Costanzo, relatori V. Di Brango, Raffaele Moccia, A.Pisapia, interventi musicali a cura di Max Fuschetto e P. Capobianco