Destino final, in spagnolo, è la destinazione finale di un volo di linea, il suo punto d’arrivo. E’ stato a lungo il titolo di un progetto, poi trasformatosi in indagine, condotto dal fotogiornalista Giancarlo Ceraudo insieme alla giornalista investigativa, ex-desaparecida, Miriam Lewin e all’ex pilota e produttore cinematografico Enrique Pineiro, sui voli della morte che dal 1976 e fino al 1983 vennero usati, dal regime militare argentino di Videla, come uno dei mezzi di sterminio dei suoi oppositori.
Ora è anche il titolo del libro che raccoglie gli scatti fatti da Ceraudo nei lunghi anni di ricerca, magnifiche e terribili foto in un severo bianco e nero, dolente e accusatorio che, pur se privo di facili effetti, inchioda chi guarda e lo richiama alla solitudine, nella sofferenza, del popolo argentino.
Il libro, “Destino final”, ed. Schilt, è stato presentato a Napoli presso L’Ex Asilo Filangieri, ufficialmente riconosciuto “luogo di cultura”
Ceraudo è un fotografo documentarista italiano che vive tra Roma, la sua città, e Buenos Aires da dove parte per i suoi reportage sull’America Latina della quale si occupa dal 2001. Ha collaborato per La Repubblica, D, L’Espresso, El Pais, Internazionale.
La sua formazione accademica in antropologia ha a che fare con la scelta di operare nel campo delle questioni socio-ambientali legate ai diritti umani. Una scelta che lo connota e lo rappresenta e traspare dalla passione con la quale illustra il suo lavoro e la lucidità della sua analisi dei fatti.
In Argentina Ceraudo iniziò, nei primi anni del 2000, a visitare alcuni centri clandestini di detenzione e morte e a lavorare con le Madri di Plaza de Mayo, lavoro che pian piano si trasformò in altro, nella ricerca di prove atte a stabilire le responsabilità degli esecutori materiali dei voli. Fu l’incontro con la giornalista e documentarista Miriam Lewin, nel 2007, a dare inizio ad una vera e propria inchiesta, la prima fotografica sui voli della morte.
La storia degli aerei lo aveva appassionato e si era chiesto come mai nessuno li cercasse, “Quando chiedevo che fine avessero fatto gli aerei, non solo nessuno sapeva rispondermi, ma ricevevo sguardi sconcertati, venivo preso quasi per pazzo…Decisi, quindi, di ritrovare quegli aerei”.
Coi voli della morte la dittatura argentina si sbarazzò di circa 5000 persone, gli aerei militari partivano da Buenos Aires una o due volte a settimana col loro carico umano sedato con iniezioni di tiopental sodico e una volta raggiunto l’Oceano Atlantico i passeggeri venivano gettati in mare ancora vivi, zavorrati con pietre per assicurarne l’inabissamento, il loro Destino final!
In seguito alcuni corpi furono restituiti dalle acque nelle insenature di S. Teresita e Mar del Tuyù e più tardi riconosciuti come i resti di alcune madri di Plaza de Mayo, di una suora francese e di una militante.
“Prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi.” Generale Ibérico Saint-Jean
Dopo più di 30 anni dai fatti l’inchiesta di Ceraudo, Lewin e Pineiro ha consentito il ritrovamento dei cinque aerei utilizzati dalla Prefectura Naval Argentina e successivamente venduti a compagnie straniere. Uno era giunto fino in Florida, lo Skyvan PA-51, e nella sua carlinga custodiva i vecchi piani di volo coi nomi dei piloti poi riciclatisi presso compagnie di volo private.
I preziosi documenti consegnati alla giustizia argentina consentirono l’arresto dei piloti sopravvissuti, l’istruzione dei processi e la loro, recente, condanna all’ergastolo.
I loro nomi vanno ad aggiungersi a quello del boia Adolfo Scilingo, ex capitano della Marina militare, il primo pentito della sporca storia argentina.
La visione delle foto di Ceraudo fa male, le immagini restano dentro e rinviano ai lunghi anni a contatto con la morte e il dolore dei parenti.
Dopo la presentazione gli chiediamo come si sia protetto da tutto ciò per poter continuare.
“Mi sono ritrovato in qualcosa di più grande di me che per anni è diventato la mia quotidianità. Un pezzo di vita. Chi guarda dal di fuori e in assenza di un diretto coinvolgimento è maggiormente colpito da ciò che vede mentre Il lavoro assorbe e distrae e le persone coinvolte ti rimandano una gran forza che aiuta a proseguire oltre ad essere la testimonianza della volontà di tornare a vivere, a ridere.”
Quali i sentimenti provati dopo che giustizia è stata fatta e i colpevoli condannati all’ergastolo?
“Ho sempre avvertito un gran senso di responsabilità e la condanna all’ergastolo di altri uomini non mi rende felice, forse Miriam, che è stata vittima del regime, può permettersi di provare un sentimento di felicità. Il lavoro svolto in Argentina appartiene ad un’intera generazione, è stato il suo lungo processo di democratizzazione. Alla nostra particolare ricerca hanno partecipato in tanti, le madri, il Gruppo Argentino di Antropologia Forense, noi giornalisti. Lo considero un lavoro ceduto, cui ho dato solo il mio contributo, senza collaborazione e un po’ di fortuna non si arriva da nessuna parte. È un successo corale, appartiene a tutte le persone che ci hanno lavorato e alle vittime“.
Come si spiega, lei, la grande partecipazione emotiva che segue la scoperta di orrori perpetrati in un dato tempo e luogo contrapposta all’indifferenza che accompagna l’ingiustizia e le crudeltà del presente?
“Me la spiego con l’incapacità umana di esprimere le sue potenzialità, ma la memoria è molto forte e non va sottovalutata, risiede nel passato, l’unico tempo dove è possibile la riflessione, il presente è un tempo fugit e il futuro non lo si conosce. Dal punto di vista fotografico forse questo è stato uno dei lavori meno professionali della mia vita, di sicuro un lavoro insolito, il fotografo in genere lavora sulla contemporaneità, in Argentina ho fotografato la memoria di un Paese che, tra l’altro, non è il mio. Ancora oggi l’Argentina mantiene una sorta di pudore sull’argomento, ma le reazioni e il riconoscimento ci sono stati. Taty Almeida, colonna del movimento delle Madres de Plaza De Mayo, ha scritto un testo in cui dice che per lei sono come un altro figlio“.
Ceraudo ha lavorato, inoltre, in Europa, Nord Africa e Medio Oriente. Il suo lavoro è ampiamente pubblicato sulla stampa italiana e internazionale e le sue immagini fanno parte della collezione permanente del Museo Maxxi di Roma. Nel 2015 “Destino Final” è arrivato finalista all’Eugene Smith Grant e nel 2017 è stato pubblicato da Schilt Publishing.
Ora sta lavorando ad un progetto sulla sua città, Roma.