Denunciare una violenza domestica: un passo doloroso ma necessario per risalire dal baratro in cui può far sprofondare un rapporto tossico. Una scelta coraggiosa che, se da un lato pone fine a una vita di sofferenze, dall’altro apre a una prospettiva con mille incognite. Molto spesso, come ben sappiamo, le donne vittima di violenza familiare non sono economicamente autosufficienti e ricominciare per loro ha più di un significato. Facendosi carico di queste problematiche così delicate, il Rotary Club di Milano Aquileia, in collaborazione con CasAmica onlus ha messo in campo un progetto che aiuta le donne vittima di violenza domestica a dotarsi di tutti quegli strumenti necessari per cominciare una nuova vita. Ce ne parlano la presidente del Rotary Club Milano Aquileia, l’avvocato Alessandra Caricato, e una donna, alla quale daremo il nome di fantasia Chiara, che grazie a questo progetto sta riscoprendo una nuova sé.
Alessandra Caricato, in che modo una donna che ha subito violenza domestica e ha bisogno di assistenza può mettersi in contatto con voi?
Prima di tutto, tengo a precisare che non siamo un centro antiviolenza ma possiamo agevolmente favorire il contatto con un CAV in una prima fase, quando cioè la donna ha subito violenza o si trova esposta alla minaccia di qualsiasi forma di violenza. Il modo più rapido ed efficace per entrare in contatto con il progetto “Rotary per le Donne” è attraverso la e-mail di CasAmica: segreteria@casamica.it oppure sulla e-mail dedicata, rotaryperledonne@gmail.com
Che tipo di assistenza offrite alle donne che si rivolgono a voi?
L’obiettivo dell’iniziativa del Rotary è quella di accompagnare le donne vittime di violenza in un percorso di acquisizione di libertà e autonomia, attraverso quattro fasi:
- la formazione professionalizzante;
- la ricerca attiva di un lavoro;
- la consapevolezza di tutti gli strumenti utili per la gestione della vita quotidiana;
- la tutela legale.
Le donne ed i minori che beneficiano dell’azione del Rotary possono trovare ospitalità nella struttura messa a disposizione da CasAmica.
È previsto, inoltre, un coinvolgimento attivo e continuativo da parte dei Soci che mettono a disposizione tempo e competenze per la realizzazione di ciascuna delle quattro fasi citate.
Successivamente alla presa in carico da parte del tutor, la donna assistita viene informata delle possibilità̀ di formazione professionalizzante più̀ adeguate e viene aiutata ed accompagnata nella fase della scelta e nella fase successiva al conseguimento dell’eventuale titolo, al fine di favorire l’introduzione nel mondo del lavoro.
Si parla spesso di prevenzione: secondo lei è possibile attuarla anche per la violenza sulle donne?
Si, a mio avviso è possibile. La prevenzione si può realizzare attraverso un’adeguata informazione che consente la piena conoscenza del fenomeno. È importante infatti fornire alle donne gli strumenti per riconoscere quei “comportamenti a rischio”, premonitori di possibili manifestazioni di sopraffazione e di violenza, creando cioè una consapevolezza sui comportamenti e sugli atteggiamenti violenti che connotano la “cultura della sopraffazione”.
Chiara, qual è stato il momento più difficile in questo suo percorso di rinascita?
Il momento più difficile è stato raggiungere la consapevolezza che quello che mi stava accadendo era una violenza. La rinascita non può sussistere se non si fa questo primo passo fondamentale: tutte le persone che hai intorno (amici, famigliari, persino il centro antiviolenza) possono dirti che stai subendo violenza, possono consigliarti di porre fine ad un rapporto tossico, ma se TU, in prima persona, non te ne rendi conto, rimani avvinghiata a quella persona e a quella situazione. Dopo aver preso coscienza e fatta la denuncia, è stato durissimo il percorso per riacquistare la mia autostima (questo aspetto è ancora lungo da affrontare), così come supportare i miei figli, ma quel primo passo fondamentale ci ha ridato la libertà. E oggi ne sto finalmente raccogliendo i frutti: per la prima volta respiriamo serenità.
Cosa le ha dato la forza per uscire dal suo incubo familiare?
La forza me l’hanno data i miei figli: a quanto pare la mia sofferenza purtroppo non mi bastava, ho dovuto vedere che stavo perdendo loro, per uscire dalla mia paralisi e passare all’azione. Erano agitati, turbati, sofferenti dal punto di vista emotivo e psicologico: non ero più in grado di gestire quella situazione che mi stava schiacciando e di conseguenza non ero più in grado di tutelare loro. Questo mi ha spaventato e scosso molto… sono partita da qui.
Cosa significa per lei oggi ricostruirsi una vita?
Significa credere finalmente in me stessa, nelle mie capacità e potenzialità. Se fossi stata in grado di farlo prima, non avrei vissuto quel calvario, o comunque non sarei stata lì immobile così a lungo. Tutto parte dall’autostima: la mia ricostruzione senza questa non sarebbe possibile. E ora la sto recuperando: sono riuscita a laurearmi, a conseguire un master, a trovare un tirocinio formativo di riqualificazione professionale e tutto ciò mi dà grande soddisfazione. Altra cosa fondamentale è l’aver impostato anche per i miei figli dei percorsi psicologici che funzionano: a distanza di quasi un anno ho visto cambiamenti sorprendenti! Direi che finalmente sono appagata da me stessa e dalle mie capacità, ora le vedo! E, ripeto, purtroppo non è così scontato.