«Dentro o fuori la televisione? Meglio artefatto e volgare o meglio coglione?» cantava Manuel Agnelli nel 1999 nella sua Non si esce vivi dagli anni ’80 che, con gli anni, è diventato uno slogan generazionale assieme a Sui giovani d’oggi ci scatarro su.
C’è chi ha visto una contraddizione tra la sua partecipazione al talent show X Factor e ciò che cantava qualche anno fa, tant’è che molti dei suoi fan di vecchia data si sono lasciati andare ad aspre critiche accusandolo di essersi “venduto”. Appena la notizia della sua partecipazione al talent è trapelata in rete, poco prima dell’estate, i fan della prima ora di Agnelli si sono scagliati molto duramente contro la scelta del guru della musica indipendente italiana.
Ma spesso i fan appartenenti allo zoccolo duro sono molto accecati da una rabbia ingiustificata e le cose vanno analizzate ed approfondite meglio.
Una delle tante risposte a questa scelta può essere trovata proprio all’interno della musica di Manuel Agnelli che – come spesso lui stesso ribadisce – fa parte di un percorso.
Gli Afterhours, assieme a poche altre band, hanno rappresentato un momento importante nella storia della musica italiana con il loro rock indipendente. Il loro percorso, cominciato nel 1988, ha attraversato una lunga serie di tappe ed avvenimenti (la collaborazione con Mina, il Tora! Tora! Festival, i continui cambiamenti di formazione, la partecipazione a Sanremo nel 2009…) che ha dato modo ad un certo tipo di musica, da sempre relegata allo status di nicchia nel nostro paese, di affermarsi come una importante realtà, sia per le vendite dei dischi, che per il grande successo live riscosso.
Manuel Agnelli, leader indiscusso della band, nonché unico componente “stabile” del gruppo, è un personaggio carismatico, colto ed intelligente. Ovvio che prima o poi fosse “corteggiato” dalla televisione. Meno ovvio era il fatto che, in così poco tempo, riuscisse ad avere un numero tanto vasto di “sostenitori”. È ormai assodato che il numero dei “conoscitori” di Manuel Agnelli, e degli Afterhours di conseguenza, si sia moltiplicato da due mesi a questa parte. Resta da vedere se a ciò corrisponderà un ritorno nelle vendite dei dischi, che – a onor del vero – hanno sempre avuto discreti risultati; l’ultimo album Folfiri o folfox, uscito sul mercato prima della Manuelmania, ha debuttato al primo posto nella classifica italiana.
Gli Afterhours, hanno conosciuto momenti diversi in tutto l’arco della loro carriera. Cambiamenti – come si è già detto – nella formazione della band cui sono derivati mutamenti anche dal punto di vista musicale; cambiamenti nella vita di Manuel Agnelli (unico autore dei testi) a cui hanno corrisposto diversi ancora “approcci” alla scrittura. Ciò ha – ovviamente – scontentato le diverse frange di fan che – ogni volta! – (ri)volevano i “vecchi Afterhours”. Eppure, proprio l’evoluzione musicale della band è sempre stato un fattore molto importante per “capire” la loro musica (ma ciò dovrebbe valere per qualsiasi altro artista).
Ogni disco è diverso.
C’è chi può preferirne uno rispetto all’altro, ma è innegabile che in ogni loro singolo album si riesce a cogliere un’importanza ed un’unicità che li contraddistingue dagli altri; oltre ad una voglia di sperimentare, di non adagiarsi sugli allori, ma piuttosto voglia di cambiare ogni volta. E tutto ciò all’interno di un coerente percorso che ha le fattezze di un percorso di crescita. Tutte caratteristiche che da sempre sono la cifra stilistica del gruppo.
La loro è una discografia-mosaico che più di una volta è valsa alla band l’appellativo di “Radiohead italiani”.
Il rock aggressivo strumentale dei primi due album, Germi (1995) e Hai paura del buio (1997), caratterizzati, nei testi, dalla tecnica del cut-up (che Agnelli ha preso in prestito da Burroughs), lascia il posto con Non è per sempre del 1999 a ballate più orientate verso il pop – come la canzone omonima che da’ il titolo all’album che ad oggi è probabilmente la ballad più famosa del gruppo – seppur con episodi più sferzanti come la già citata Non si esce vivi dagli anni ’80, La verità che ricordavo o anche Milano circonvallazione esterna.
Il buon successo commerciale (soprattutto del secondo album) ed il conseguente grande seguito live permette alla band di pubblicare il live Siam tre piccoli porcellin e – soprattutto! – a Manuel Agnelli di dare vita nel 2001 al Tora! Tora! Festival:un festival musicale itinerante a cui hanno preso parte fra le più importanti band del panorama indipendente italiano. Contemporaneamente Agnelli comincia anche a vestire gli abiti del produttore discografico. Produce, infatti, i primi due lavori di Cristina Donà: Tregua (1997) e Nido (1999); l’album Solo un grande sasso, del 2001, dei Verdena. Oltre ad aver collaborato con numerosi altri artisti come Marco Parenti, Patty Pravo e Mina.
Si arriva in questo modo al loro disco forse più importante: Quello che non c’è del 2002. Un lavoro molto complesso, e che è arricchito di nuove tinte ed umori e nel quale Agnelli abbandona definitivamente il cut-up in favore di una – se possibile – maggiore profondità e levatura. Ogni traccia è una perla di rara bellezza. Ognuna diversa dall’altra, passando dalla psichedelia di Varanasi Baby all’incisività di Sulle labbra, dalla hit Quello che non c’è alla politica La gente sta male, dimostrando in ciò un eclettismo straordinario. La cupezza del passato è ancora presente seppur squarciata da lampi di luce. È, insomma, il disco della maturità tout court che si chiude con due ballate più morbide (Ritorno a casa ed Il mio ruolo).
L’album successivo, Ballate per piccole iene del 2005, conferma lo spessore del precedente e si distingue allo stesso tempo. Ballate è infatti un lavoro molto più cupo e misterioso. Probabilmente l’album più fosco della loro carriera (come testimonia la stessa copertina dell’album) con alcune virate dark (La sottile linea bianca). Sicuramente il più internazionale, tant’è che il gruppo si avvale della collaborazione di Greg Dulli (co-produttore del disco) e John Parish. Questo sarà infatti pubblicato, in buona parte d’Europa, anche in lingua inglese (con il titolo Ballads for Little Hyenas) e che darà vita nel 2006 ad un tuor negli Stati Uniti ed in Germania.
Nel 2008 la band pubblica il loro ottavo album in studio: I milanesi ammazzano il sabato in cui cerca di recuperare alcune atmosfere connesse alla loro natura primordiale: più dure e ruvide. I testi del disco riflettono molti cambiamenti avvenuti nella vita di Agnelli (tra cui la nascita di sua figlia Emma). Un album “spericolato” e, per molti, il primo passo falso del gruppo.
A Sanremo
L’anno successivo gli Afterhours partecipano a Sanremo, secondo Agnelli «per tentare di accendere qualche riflettore su tutto l’ambiente “rock” emarginato dal grande giro». Si presentano con il brano Il paese è reale, con il quale verranno eliminati al primo turno ma che gli varrà il Premio della Critica “Mia Martini”. Agnelli & Co. si rifiutano di comparire nell’abituale compilation del Festival o anche di pubblicare il loro ultimo disco con l’aggiunta del brano sanremese. Il pezzo viene infatti pubblicato in esclusiva nell’album Afterhours presentano: Il paese è reale (19 artisti per un paese migliore?) assieme ad altri 18 pezzi inediti scritti per l’occasione da altrettanti artisti della scena alternativa italiana: una raccolta autoprodotta e distribuita tramite Fnac.
Nel 2012 è la volta di Padania, un album della “maturità” che, per certi versi, chiude un ciclo e ne avvia uno nuovo trasportando gli Afterhours verso musicalità ancora una volta nuove e testi maggiormente “narrativi”. Tutto ciò per vari motivi: in primis il ritorno nella band di Xabier Iriondo; ed inoltre perché il disco è figlio delle idee dei vari singoli elementi del gruppo e nonostante ciò caratterizzato da una omogeneità, una compattezza ed una coesione maggiori rispetto all’album precedente. Un lavoro «musicale ed autentico» come lo definisce lo stesso Agnelli. Sicuramente il disco più “politico” della band, in cui la Padania del titolo più che come luogo geografico, è da “intendersi come uno stato mentale”, ed in cui molti testi (Costruire per distruggere su tutti) sono pregni di disilluse riflessioni riguardo lo scenario socio-politico dell’epoca.
Si arriva, infine, a Folfiri o Folfox di quest’anno: un doppio album formato da 18 tracce in larga parte ispirate alla scomparsa del padre di Agnelli. Il titolo fa infatti riferimento a due trattamenti chemioterapici. La morte e la malattia sono, proprio per questo motivo, due fra i temi ricorrenti dell’album.
Il primo singolo estratto, Non voglio ritrovare il tuo nome, è uno dei brani meno originali dell’album, ma un ottimo pezzo per promuovere il disco. Il secondo, Il mio popolo si fa, è afterhoursiano fino al midollo: una sferzante riflessione sull’attualità corredata di suoni duri e da una voce di Agnelli in piena forma.
Manuel Agnelli si presenta quindi ad X Factor pienamente nel suo stile: con un album effettivamente molto ostico.
Tutto il dolore di Folfiri e Folfox si chiude con Se io fossi il giudice (secondo Agnelli scritto in tempi non sospetti e lontani dalla partecipazione al talent) un brano che fa (intra)vedere un po’ di luce e che – come anticipato – può rappresentare anche una sorta di “chiave di lettura” del “nuovo Manuel agnelli”.
L’incipit della ballata fa riferimento ad una sorta di rinascita: “Oggi svegliandomi/ ho realizzato che/ che tutto il resto è stupido/ voglio provare a vivere”. Parte del ritornello fa riferimento invece ad un “cambiamento”: “Libero di non essere più me libero di non piacerti più libero di buttare tutto via” e ancora: «Ho smesso di nascondermi/ mi riconoscerai». La parte finale della canzone, e chiusura definitiva dell’album, recita: “oggi svegliandomi/ credevo fossi tu/ che mi dicevi stupido/ devi tornare a vivere”.
Tutto ciò porta a pensare ad una sorta di apertura (soprattutto caratteriale)di Manuel Agnelli derivata dall’elaborazione del lutto. Un’apertura che porta, fra le varie cose, alla partecipazione al talent e che rappresenta, come spiegato dal frontman più volte, una ulteriore tappa del cammino artistico degli Afterhours e che è anche un modo per tentare di “promuovere” in un contesto così ampio quale è X Factor, un modo di fare musica altro.
Sin dalla prima apparizione Manuel Agnelli ha subito fatto discutere per la sua schiettezza e sincerità, e con le sue frasi che sono già di diritto entrate nella storia della televisione italiana.
Sui social sono cominciate a fioccare in breve tempo pagine a lui dedicate come Manuel Agnelli sentenzia, Manuel Agnelli insulta la gente o Manuel Agnelli a XFactor 2016 in cui fans dell’artista, sempre più numerosi, esprimono la loro simpatia e la loro idolatria nei suoi confronti. Agnelli ha ottenuto anche elogi da parte del guru dei critici televisivi Aldo Grasso, il quale sul Corriere della sera, scrive: «Quest’anno, a dispetto del cognome, la parte del leone tocca a Manuel Agnelli, indubbiamente il più bravo. È più competente di Morgan, soprattutto più lucido, ha una naturale dote carismatica, i suoi giudizi sembrano inappellabili. Sa di essere bravo e a volte si comporta da primo della classe».
Manuel Agnelli, insomma, piace anche al pubblico mainstream e, a chi lo accusa di essersi venduto, la miglior risposta l’ha data lui stesso in una canzone di qualche anno fa:
Ora so che ogni uomo trova la sua dannazione
un rettile può cambiar pelle ma non cambia il cuore.