Si chiama demorfismo fotografico il nuovo movimento artistico fotografico creato da Giovanni Bevilacqua, fotografo ed artista che vive tra Vicenza e Verona. È un continuo divenire il lavoro fotografico di Bevilacqua, che con il suo demorfismo, al contrario di Rotella che sottrae, aggiunge le immagini sulle immagini in un continuo sommare di emozioni.
Un continuo trasformare la realtà, che continuamente si trasforma, e la fotografia con lei continua a trasformare ciò che ci circonda. È un continuum mai interrotto, l‘eccesso di colore, come gli eccessi della nostra società, la visione surreale di strutture la cui forma non è più definita. Il demorfismo esalta il “momento” vitale della nostra società. Proprio come altri maestri hanno fatto nel passato, come Fontana, come Rotella, come Warrol, il demorfismo di Bevilacqua trasfigura la realtà trasportando l’osservatore in una dimensione diversa dalla propria.
“Ma già, la fotografia non ha il diritto di cambiare, la fotografia deve essere quella del bianco e nero. Fotografia é solo quella di Bresson. Duchamp diceva che se un opera d’arte non stupisce, nel bene o nel male, non serve. E il demorfismo grida ogni momento la sua necessità di cambiamento” spiega Bevilacqua.
“Urla in faccia a chi guarda la sua presenza intensa e viva, come intensa e viva è la società di oggi che si sposta ogni minuto, ogni istante, trasformando e trasformandosi. Cambiano i desideri degli uomini, cambiano le priorità, cambia il senso del bello, cambia la morale, cambia il costume, cambiano le nazioni. Non posso accettare che la fotografia artistica non possa, non debba cambiare. Nell’era della società globale sento ancora parlare integralisti che profetizzano che la fotografia digitale morirà fra un decennio e si tornerà alla pellicola. Quanto lontani siamo dall’arte, dalla pittura, dalla scultura, quanti cambiamenti sono stati fatti e accettati, forse a fatica, ma alla fine sono presenti nella storia dell’arte. Come a dire che solo alla pittura è consentito cambiare e mutare continuamente, la fotografia no, deve restare in “fermo immagine” spiega ancora l’artista.
Rendere diversi il punto di vista, cambiare l’osservazione da bidimensionale a tridimensionale, da reale a surreale fino a renderla favolistica e immaginaria. Trovare un nuovo linguaggio dell’arte fotografica, trasformare quanto ci sta davanti non sottraendo o isolando il soggetto, quanto piuttosto moltiplicandolo, in una affollata presenza di immagini che rimandano l’una all’altra, che danno una continua dinamicità a un mezzo (la fotografia) che ci ha abituato, da sempre, alla staticità.
“Fino a quando non capiremo che già prendendo una fotografia compiamo uno scempio innaturale perché stiamo isolando un particolare dal tutto non daremo alla fotografia la possibilità di divenire arte” conclude Giovanni Bevilacqua.