Dal 13 settembre al 20 ottobre 2018 le OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino presentano Dancing is what we make of falling, mostra video in sei appuntamenti (+1), a cura di Samuele Piazza e Valentina Lacinio.
Il titolo della mostra prende in prestito un verso del poeta e ricercatore Fred Moten, e diventa una constatazione di quello che, in tempo di crisi, l’arte è chiamata a fare: trasformare la caduta in una danza. Sfidando le convenzioni e osservando il mondo contemporaneo dalla sua prospettiva allo stesso tempo privilegiata e periferica, l’arte si interroga sulle dinamiche che contribuiscono alla creazione di soggettività in un mondo neoliberista, mettendo in dubbio le sue certezze e offrendo una realtà alternativa a quella presente. In un mondo che vede crescere a dismisura le disparità economiche e sociali, in cui si erigono muri fisici e metaforici per tenere l’Altro lontano dagli occhi, in cui ondate sempre più violente di “espulsioni” e rampanti rigurgiti di razzismo dominano lo scenario politico e sociale, il lavoro degli artisti rimane fondamentale, per la sua capacità di creare immaginari e aprire nuovi orizzonti di riflessione.
Questo è quello che intende fare Dancing is what we make of falling, proiettando video e cortometraggi di artisti attivi sulla scena internazionale che da tempo si confrontano, e spesso si scontrano, con temi quali l’integrazione, l’inclusione, il gender, l’equità sociale.
Per sei settimane, su uno stesso schermo al centro del Binario 2, si susseguiranno infatti video diTracey Moffatt (13 – 20 settembre), Jacolby Satterwhite (21 – 27 settembre), Wu Tsang (28 settembre), Roee Rosen + Goldschmied & Chiari (5 – 11 ottobre), Loretta Fahrenholz (12 – 18 ottobre) e Hardeep Pandhal + Sonia Boyce (19 – 20 ottobre), artisti di provenienze e generazioni diverse i cui lavori si sommano per dare vita a un racconto a capitoli, a più voci e con più registri. Sei appuntamenti serali scandiranno la mostra, di volta in volta con la proiezione di un nuovo lavoro video arricchita da interventi di ricercatori, artisti e collaboratori, grazie ai quali lo spazio espositivo si trasformerà in un luogo di ritrovo e dibattito critico, di riflessione condivisa con il pubblico.
I montaggi video di Tracey Moffatt, nel loro riuso di materiali tratti da film hollywoodiani, sono un esempio perfetto dell’utilizzo critico di stereotipi della cultura di massa per creare narrazioni alternative. In divertenti e spiazzanti video, le immagini fin troppo note di vari blockbuster ci mostrano il razzismo, tacitamente accettato, insito nelle rappresentazioni della cultura pop: le “mami” dei kolossal, ad esempio, acquisiscono consapevolezza della loro subalternità per iniziare una rivoluzione (Lip), o, ancora, donne in relazioni complicate si emancipano da quello che sembrava essere un amore idilliaco, e che si rivela essere una relazione di abuso (Love).
Le animazioni CGI che popolano i video di Jacolby Satterwhite nascono dalla sua rielaborazione dei disegni della madre e dal suo coinvolgimento nella scena underground di New York: unendo il “voguing” alle visioni della madre, l’artista crea un mondo con regole proprie e pieno di stimoli visivi, un giardino delle delizie in stile Bosch, riempito di immagini tratte dalla cultura afro-americana e degli immaginari queer, trattando in maniera unica e visionaria temi quali l’identità, la memoria e il desiderio (Reifying Desire).
Il racconto in forma di documentario (Wildness) di Wu Tsang è la storia del Silver Platter, un bar prevalentemente frequentato da donne trans di origine messicana, in California. Il film è un delicato ritratto di una comunità spesso dimenticata e vittima di stereotipi e violenza, capace di ritrovarsi e formare vincoli di solidarietà e amicizia diversi, alternativi a quelli delle famiglie patriarcali che hanno ripudiato e allontanato le protagoniste del video. Da sempre interessata a dare voce a chi non può raccontare la propria storia, Tsang in questo caso dà voce al bar stesso, riattivandone le memorie, dall’origine fino all’arrivo della scena artistica, e la conseguente morte del posto.
Le atmosfere sospese che caratterizzano i video di Loretta Fahrenholz, ci trasportano in scenari stranianti, gettando uno sguardo a mondi vicini ma completamente contrapposti: in Ditch Plains il ritratto di una New York post uragano Sandy – abitata solo da corpi apparentemente senza vita, in una periferia urbana “infestata” da una street-crew di ballerini di hip-hop simil-zombie – fa da contraltare alle scintillanti architetture in vetro e cemento che ospitano la bohème contemporanea, protagonista dell’altro video Implosion. Rispetto al gruppo di punk protagonista dell’omonimo romanzo di Kathy Acker, il video della regista tedesca mette in scena giovani corpi perfetti e annoiati di un gruppo di artisti, attori e influencer che vivono nella city, pianificando la rivoluzione dai cellulari nelle loro claustrofobiche torri d’avorio.
Con il video Dust Channel, Roee Rosen mette in scena un’operetta musicale contemporanea che narra le vicende di una coppia – stereotipo di un modello di vita imborghesito – e la loro paura per lo sporco, estrema ai limiti del paradosso. Con un piglio surreale viene raccontata la fissazione patologica per la pulizia, che si riversa nell’ossessione anche erotica dei protagonisti nei confronti dell’aspirapolvere di casa, oggetto attorno a cui ruota l’intero libretto: dalla creazione dell’elettrodomestico l’intreccio si spinge fino a inaspettate implicazioni con la politica contemporanea, dove la polvere di casa diventa la polvere del centro di detenzione per rifugiati noto come Holot (Sabbia).
Operando sullo stesso straniamento ironico, nel video di Goldschmied & Chiari una ballerina vestita da Carmen Miranda danza un motivetto orecchiabile tra la spazzatura della discarica di Guidonia, apparentemente ignara delle montagne di rifiuti che la circondano. Incosciente del degrado che la circonda, Carmen – volto di un esotismo coloniale spensierato e consumista – mette in scena una danza folle e allegra, cantando “Chica, chica, boom, chic”, in un contesto di decadenza, rovina e abiezione.
Per la prima volta in Italia, in mostra vengono proiettati i video di Hardeep Pandhal, artista inglese di origine indiana. The Rebirth of Sacred Cow Mixtape Trailer è la parodia di un video rap, popolato da rappresentazioni ironiche dei valori vittoriani, in cui la fantasia dell’artista reinterpreta simboli e immagini con piglio dissacrante. La vacuità di tante rappresentazioni di potere e una forma di mascolinità tossica sono lo sfondo di uno scontro di culture: da una parte la famiglia di origine Sikh e dall’altra la società Britannica e il suo machismo.
Il video di Sonia Boyce, Oh Adelaide, è nato dalla collaborazione con il musicista Ain Bailey ed è la manipolazione di un video di Adelaide Hall – cantante Jazz afroamericana – trovato su internet. L’immagine di una performance di Creole Love Call viene modificata per indagare questioni di identità, memoria e uso del corpo delle donne afroamericane.
Ogni appuntamento sarà aperto da una serata inaugurale durante la quale, come contraltare delle proiezioni, si susseguiranno interventi performativi pensati per il Binario 2 delle OGR da alcuni artisti della scena emergente italiana (Enrico Boccioletti, Dafne Boggeri, Benni Bosetto, Drifters, Ramona Ponzini & Rpm Watts), che si alterneranno a interventi di curatori, attivisti, e ricercatori (Lucrezia Calabrò Visconti, Ilenia Caleo, Irene Dionisio e Nicoletta Vallorani). Come parte integrante del programma della mostra, il 30 settembre, le OGR ospiteranno Minor Matter della danzatrice e coreografa Ligia Lewis. All’interno della programmazione sarà inoltre inserita una serata in collaborazione con Zell Revlon & Matteo Mizrahi per la realizzazione del loro secondo Ball.
Durante ognuna di queste serata saranno inoltre realizzati, in collaborazione con Kabul Magazine, un podcast e una fanzine dedicata, contenente la traduzione di un saggio, inedito in italiano, che serva da materiale di ricerca e offra un’ulteriore chiave di lettura dei video proiettati.