Nel ricordare le stragi di mafia spesso, purtroppo, capita di ricordare il nome eccellente, colui che doveva essere la vittima designata mentre poco, o nessuno, spazio è dedicato a quanti sono visti come vittime di contorno, quelli che ci sono andati di mezzo per caso. Il caso del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato dalla mafia insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, non fa eccezione. A farlo notare più volte è stata la famiglia di Domenico Russo, l’agente di scorta che, quella sera del 3 settembre 1982, seguiva a bordo della sua Alfetta, l’auto del Prefetto. Per la Setti Carraro, invece, si alternano le considerazioni sulla scelta d’amore e l’importanza che lei stessa potesse avere come eventuale teste.
La guerra contro la mafia
Il giorno in cui il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa si insediò come nuovo Prefetto di Palermo, 30 aprile 1982, fu lo stesso giorno in cui fu assassinato il capo del PCI siciliano Pio La Torre. Un gesto simbolico? Forse. Non che gli anni precedenti fossero stati più sereni per gli esponenti della politica e della polizia siciliani con i delitti di Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa (non vogliamo dimenticare tutti gli altri ma solo dare un quadro di massima). L’impegno profuso nella lotta al banditismo al Sud e i successi ottenuti con le Brigate Rosse facevano sperare che il generale dei Carabinieri fosse l’uomo giusto al posto giusto. O che fosse tutta una messa in scena. In un’intervista rilasciata al giornalista Giorgio Bocca, infatti, lamentò con grande amarezza il ritardo di quei poteri speciali dei quali avrebbe dovuto essere investito, secondo accordi precisi, per combattere efficacemente la mafia. Quello che sappiamo è che l’incarico del Prefetto durò circa 100 giorni e che terminò in una A112 in via Carini.
Carlo Alberto Dalla Chiesa ed Emanuela Setti Carraro
La storia tra il generale Dalla Chiesa e la sua seconda moglie (la prima era morta nel 1978 per un infarto) sembrano dare una nota rosa a questa vicenda. 30 anni di differenza, le remore di Carlo Alberto contro la testardaggine di Emanuela, il matrimonio e la scelta di seguire il marito in una terra difficile con un incarico delicato. In realtà Emanuela veniva da una famiglia abituata a spendersi per la comunità. La madre Antonia era stata infermiera di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale e lei stessa si era diplomata infermiera. Alla sua passione per i cavalli si vede l’introduzione dell’ippoterapia nel trattamento delle disabilità. Quando in quel breve e intenso soggiorno palermitano, l’ultimo per entrambi, il generale capì che la situazione si stava complicando sempre di più, sua moglie divenne la confidente perfetta. Colei che poteva custodire i segreti di indagini delicate da divulgare nel caso in cui gli fosse accaduto il peggio. Fu così che anche Emanuela divenne un bersaglio per Cosa Nostra. Non fu messa in condizione di aprire quella cassaforte in cui erano custoditi importanti documenti.
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere
Giovanni Falcone sulla morte del generale Dalla Chiesa
Le guerre irrisolte
Quella stessa cassaforte di cui si persero le chiavi per giorni e quando fu finalmente aperta risultò vuota. Dopo importanti successi ottenuti sul campo, lo scontro con Cosa Nostra si rivelò fatale per il generale. Un conto era combattere contro personaggi animati da un’ideologia che volevano portare a un nuovo assetto sociale, anche se distorto, altro era combattere contro un sistema che era al tempo stesso fortemente radicato nel territorio e saldamente ammanigliato ai piani alti nel nome di interessi puramente economici.