Con la diffusione sempre più capillare di internet, la comunicazione ha subito dei cambiamenti notevoli. Ogni giorno è nuovo: cambia il modo di ricercare informazioni, cambia il modo di relazionarsi con gli altri, cambia il modo di fruire di qualsivoglia contenuto.
Questa trasformazione si è palesata soprattutto nel momento del passaggio dal web 1.0 al web 2.0, dove la parola d’ordine era ed è: interazione. Ogni utente non è più spettatore passivo dei contenuti presenti in rete, ma parte integrante di un circolo di azione e reazione che permette (almeno potenzialmente) di essere protagonisti attivi della navigazione sul web. L’espressione “read/write” bene identifica questo nuovo approccio: l’utente è prima lettore d’informazioni, poi capace di metabolizzarle ed infine in grado di scriverne di nuove a sua volta.
Nel Web 1.0, per creare un sito ma anche una semplice pagina web, era necessaria la conoscenza del linguaggio HTML. Oggi, con lo spopolare dei blog che utilizzano piattaforme di editoria personale come WordPress ad esempio, chiunque abbia un po’ di dimestichezza col mezzo, può in tempi ridotti crearsi una pagina personale, arricchendola con layout grafici e svariati tools, senza per questo dover conoscere linguaggi specifici.
Pensiamo inoltre alla grande rete di Wiki dove ognuno può apportare il proprio contributo, diventando a tutti gli effetti un ‘costruttore di contenuti’.
Quando inoltre si parla di web 2.0, il richiamo ai social network ed alle community è inevitabile: Facebook, Twitter, YouTube, per citare i più conosciuti, hanno rivoluzionato le modalità di scambio delle informazioni. La condivisione è diventata la condizione imprescindibile per veicolare ciò che vogliamo comunicare.
Questo flusso infinito di informazioni espone però al rischio “overflow”: troppi dati a disposizione, accompagnati spesso dall’incapacità di gestirli debitamente. I motori di ricerca giungono certamente in nostro aiuto, consentendoci di affinare le nostre ricerche e restringendo i risultati. Ma siamo sicuri che il motore “legga” correttamente le intenzioni dell’utente? No. Questo perché al web manca ancora la componente interpretativa, quella variabile importantissima auspicata alla base di un futuro web semantico. Parliamo del “Data Web”: gli archivi di dati pubblicati online saranno dotati di una precisa struttura, in grado di dare significati esatti alle informazioni; una guida ragionata e non più un mero catalogo.
Nasce così l’idea di un web 3.0. Abbiamo approfondito la tematica con Giuseppe Liguori, founder di SEO CUBE ed esperto informatico.
Con il Web 2.0 Internet si è trasformato: siamo passati da un Web statico a un Web più dinamico, in cui l’utente interagisce pienamente con gli altri. La denominazione di Web 3.0, che circola sempre di più, potrebbe identificare una nuova evoluzione, ma in che senso?
Premetto che personalmente non credo molto in queste definizioni così restrittive per i continui mutamenti che il web e la tecnologia in generale ci riserva. Difatti web 2.0 e web 3.0 sono più definizioni giornalistiche per stabilire delle “ere”, ma nella realtà ogni giorno noi del settore IT (Information technology -ndr) assistiamo a novità che non finiscono mai di stupirci.
Per me l’evoluzione di un nuovo web dovrebbe garantire un accesso alle informazioni sempre più semplice e diretto. I motori di ricerca, in particolare Google, stanno lavorando tantissimo al concetto di semantica che permette appunto di comprendere meglio i significati e non lavorare più su semplici “parole chiave” digitate dall’utente. L’evoluzione sta quindi nella vera interazione tra mondo reale e web. Un giorno si spera (ma chi non ama il ‘tecnocontrollo’ spera proprio di no) che gli occhialini inventati da Google diventino un oggetto di uso quotidiano e che le relazioni tra la realtà reale e quella digitale siano solo una sottile sfumatura.
Si pensa che il Web 3.0 si baserà sulla connessione tra informazioni. Il passo successivo potrebbe essere la tridimensionalità, con una rete non più fatta di pagine, ma di spazi tridimensionali in cui muoversi per trovare quello che si cerca. Quali sarebbero i vantaggi di tutto ciò?
Sono d’accordo che si baserà sulla connessione delle informazioni, ma ritengo che il riferimento alla tridimensionalità sia solo una speculazione futuristica e null’altro. Il web per come lo conosciamo, fatto di pagine e contenuti ipertestuali, avrà ancora vita molto lunga, e tutte le varianti ipertecnologiche saranno viste solo come dei giocattoli per bambinoni molto cresciuti.
Una nuova tecnologia, per essere accettata dalle masse, deve avere il presupposto di semplicità. Oggi per cercare un Hotel, mi basta compiere il gesto più naturale, ossia scrivere “Cosa mi serve”, “Dove mi serve” e “Quando”. Rappresentare questo schema in un mondo virtuale non attirerebbe più di tanto le masse. La realtà virtuale esiste da 20 anni, ma a quanto pare è rimasta confinata ai luna park e ai laboratori di ricerca.
E lei come se lo immagina questo web 3.0?
Lavorando nel campo dei motori di ricerca, dal mio punto di vista lo immagino con degli strumenti di ricerca sempre più “bravi” a comprendere le intenzioni degli utenti, catalogando i contenuti non più come dei testi, ma come dei significati relazionati tra le varie voci esistenti sulle altre pagine. Il motore di ricerca analizzerà la domanda posta dall’utente, cercherà i contenuti che meglio si avvicinano alle sue intenzioni, anche se poco chiare, e fornirà la risposta più adatta senza fare una banale ricerca testuale.
Immagino inoltre la possibilità di farsi capire dalla macchina anche con altri ausili, come la voce. Il riconoscimento vocale è già realtà, anche se a mio avviso non ancora sufficientemente maturo da soppiantare la tastiera. Google e Apple lo hanno capito e stanno lavorando per permetterci di parlare ed avere le giuste risposte.
Spero inoltre in un web un po’ meno spinto dai social network perché si corre il rischio concreto che le persone si adagino su questa modalità passiva di ricezione di informazioni stile TV, e diventino pigre nel valutarne l’attendibilità. Sta arrivando un web più intelligente, cosa aspettiamo a dargli il benvenuto?