Il comun denominatore di queste novità è uno: il denaro. Sponsor tecnici, sponsor ufficiali, diritti televisivi, calciomercato a tre cifre, scommesse. E’ possibile ipotizzare che il calcio – il sistema calcio, tifosi inclusi – sia un’invenzione di tali proporzioni da aver snaturato e stravolto ciò che è stato, in origine, semplicemente uno sport? Un amore costruito, prodotto a tavolino? Dirlo con sicurezza è difficile. Eppure, le tappe di questo cambiamento sono tutte lì, visibili e irreversibili.
Dire che prima il calcio non era così, quasi a scoprirsi un po’ commossi e nostalgici, è un’ovvietà. Volendo c’è di più. Prima metà del Novecento: il calcio, tra gli sport nazionali è solo secondo, ad inseguire chi di fughe se ne intende, cioè il ciclismo. Non c’è storia. A partire dagli anni ’60, le due ruote, pur rimanendo molto seguite, vanno incontro ad un lento declino. Il calcio attende, si lega gli scarpini ed ascolta le ultime disposizioni tattiche prima di entrare in campo: esplodi negli anni ’70, gli dicono.
Lo capiscono in tanti che le cose stanno cambiando. Si fiutano opportunità, nuovi scenari, squarci dove intrufolarsi ed essere protagonisti. Fare guadagni? Sì, fare guadagni. Tuttavia, i primi intenti di sponsorizzazione fanno i conti con la salda volontà della FIGC di non voler introdurre innovazioni così venali. In gioco, per la Federazione, ci sono valori sacri come l’agonismo e la sportività che non devono essere “macchiati” da interessi extrasportivi. Un paradosso? Eccolo: basket, ciclismo e pallavolo hanno tutti, e da anni, i propri sponsor.
E’ il 1974, si cambia. La FIGC riconosce la possibilità ai calciatori di sfruttare sponsorizzazioni personali. Per altri 4 anni restano vietate altre forme di investimento pubblicitario. Poi due date, 1978 e 1981: via libera alla presenza dei loghi tecnici sulle maglie – la prima è la Juventus, con Kappa – e alla sponsorizzazione extrasettore. La stagione 1981/1982 è la prima a vedere le maglie del nostro campionato marchiate da sponsor pubblicitari. E’ un primo passo, questo. Il calcio anni ’80 è distante dal “calcio moderno” materia del nostro quotidiano. Cosa manca? Poco, a dirla tutta. Giusto il tempo di cambiare canale.
Già, ricordate TELE+? Serie A e B, è la stagione 1993-1994. In Italia sbarcano le tv del calcio e riversano notevoli quantità di denaro nelle casse del campionato più bello al mondo. Basta così? No. Il prodotto, già profondamente mutato, non resta uguale a se stesso: è il 1999, e Stream cerca di fare concorrenza alla prima emittente. Una concorrenza fiacca, a dirla tutta. Murdoch, l’allora proprietario di Stream, fa tutto lui: rileva Tele+ e la unisce a Stream. Il risultato? Tre lettere: Sky.
Attualmente la Serie A realizza grazie alle televisioni oltre la metà del suo fatturato annuo, cioè il 60%. Un calcio, quello italiano, troppo legato al miliardo di euro che ogni stagione riceve dai diritti televisivi. Perché? Basti pensare che in un singolo campionato gli introiti provenienti dai botteghini si aggirano intorno al 13% del totale. In Inghilterra siamo al 24%, in Spagna al 25%, in Germania al 23%. Quasi il doppio. In Italia i diritti televisivi delle due categorie calcistiche più importanti sono completamente nelle mani delle emittenti televisive più importanti, Sky e Mediaset: tutte le partite di tutte le squadre. In Inghilterra, ad esempio, non è così. Sky può trasmettere alcuni incontri, mentre per assistere ad altri c’è solo una soluzione, e cioè sciarpa al collo e via verso lo stadio. L’Italia, paradossalmente, ai soldi delle tv private deve dire solo grazie: le serie inferiori necessitano di quel denaro non per fare buoni investimenti, bensì, semplicemente, per esistere.
Ci sono, infine, le cifre del calciomercato. Ricordate il caso Maradona, clamoroso acquisto del Napoli, nel 1984, per 13 miliardi e mezzo di vecchie lire? Bene, dimenticatelo. Pur considerando l’inflazione degli anni seguenti, il calciomercato internazionale ha raggiunto cifre come quelle di Cristiano Ronaldo e Gareth Bale, rispettivamente 94 e 101 milioni di euro, entrambi acquistati dal Real Madrid. Come si spendono così tanti soldi? Avendoli, si direbbe. O indebitandosi. Chelsea (791 milioni), Manchester United (722 milioni) e Real Madrid (563 milioni) sono sul podio dei club con i conti più rossi di tutti. Storie estere, queste sì. Ma quanto il nostro calcio è ancora romanzo popolare e narrazione collettiva? E il suo finale, è a lieto fine?