Come riprese la vita sulla Terra dopo le estinzioni di massa causate dagli impatti catastrofici dei grandi asteroidi?
Per scoprirlo un gruppo internazionale di scienziati ha preso in esame il cratere Chicxulub, un antico bacino da impatto sepolto, situato sotto la penisola dello Yucatan. I risultati dello studio, pubblicato oggi su Science, suggeriscono che i primi habitat per lo sviluppo di nuove forme di vita furono le stesse rocce interessate dai cataclismi.
Per capire come, facciamo un lungo passo indietro. Circa 65 milioni di anni fa un grande asteroide dal diametro stimato di 12 km si schiantò nel Golfo del Messico. L’impatto fu così devastante che l’esplosione e i successivi effetti a catena spazzarono via circa il 75 per cento degli organismi viventi presenti sulla Terra, compresa la maggior parte dei dinosauri.
Una spedizione in mare aperto condotta dallo European Consortium for Ocean Research Drilling ha effettuato delle perforazioni nella parte corrispondente alla grande struttura circolare sotterranea di Chicxulub. L’obiettivo: recuperare campioni dalle creste rocciose interne del cratere, nel peak ring, l‘anello centrale del bacino formato da picchi rocciosi, effettuando delle forature a profondità comprese tra 506 e 1335 metri sotto l’attuale livello del mare.
Le ricerche
Ora, i ricercatori, effettuata una prima analisi dei carotaggi, hanno scoperto che l’impatto verificatosi milioni di anni fa avrebbe modificato la struttura della roccia in modo da renderla più porosa e meno densa di quanto i modelli avevano precedentemente previsto.
Le rocce porose forniscono nicchie ideali per lo sviluppo di organismi semplici. L’acqua, riscaldata all’interno della crosta terrestre, avrebbe fatto il resto, trasportando all’interno dei pori le sostanze nutritive disponibili. La Terra primordiale era costantemente bombardata da asteroidi ed è plausibile pensare che fenomeni di questo tipo siano accaduti anche in altri luoghi del Pianeta dove fossero presenti rocce con simili proprietà fisiche. Ciò, secondo i ricercatori, può in parte spiegare come riprese la vita sulla Terra.
Il nuovo lavoro ha anche ricostruito la dinamica dell’impatto, confermando che l’asteroide colpì la superficie terrestre con una tale forza da spingere le rocce – che a quel tempo si trovavano dieci chilometri sotto la superficie – ancora più in profondità e poi verso l’esterno. In risposta all’impatto, i massi sarebbero rimbalzati di nuovo verso l’interno in direzione della zona dello schianto e poi in alto, schizzando fino alla superficie, prima di collassare verso il basso e ancora verso l’esterno, fino a formare l’anello centrale.
Per Joanna Morgan, del Department of Earth Science and Engineering dell’Imperial College di Londra, autrice principale dello studio, «è difficile credere che le stesse forze che hanno distrutto i dinosauri possano avere anche giocato un ruolo nel creare i primi rifugi per la vita sul Pianeta».
Le prossime tappe
Il prossimo passo per il team sarà l’acquisizione di una serie di misure dettagliate dei campioni prelevati con i carotaggi, al fine di perfezionare le simulazioni numeriche. Gli scienziati non escludono di riuscire a trovare tracce di vita nelle rocce dell’anello centrale. Saranno oggetto di studio anche i primi sedimenti che hanno formato il rialzo interno del cratere, presumibilmente depositati da uno tsunami gigante, da cui gli scienziati sperano di ricavare indicazioni su come la vita abbia ripreso piede e quando, in questo angolo del Pianeta ‘sterilizzato’ in seguto al grande impatto.