Al centro dei due giorni di Oltreterra, il progetto di Slow Food Italia dedicato ai territori della montagna italiana, c’è stato il rapporto tra l’uomo e le sue attività antropiche e quei territori che, per conformazione naturale, spesso vengono erroneamente definiti aree interne o remote: foreste, boschi, zone montane. In due parole: le Terre Alte, caratterizzate dalla lontananza dai centri urbani, dai luoghi dove tradizionalmente si concentra l’erogazione dei servizi, e che negli ultimi decenni hanno vissuto un progressivo spopolamento in favore delle aree urbane.
Nel corso di Oltreterra sono stati organizzati cinque tavoli di lavoro durante i quali studiosi, esperti e persone che in montagna vivono ogni giorno hanno messo a punto strategie e proposte utili a costruire un tessuto capace di valorizzare la montagna e mettere l’uomo in condizione di abitarla. Un uomo consapevole – come è stato a più riprese affermato – del fatto che non è il bosco ad aver bisogno dell’uomo, ma viceversa, e che sia pertanto capace di sviluppare una sostenibilità trasversale: a livello ambientale, economico e sociale.
Ecco i principali spunti emersi dai due giorni di discussione, suddivisi per temi (le relazioni complete sono scaricabili anche dal sito web www.oltreterra.it).
Le cooperative di comunità: una scommessa strategica per la montagna italiana
Quando si parla di cooperative di comunità, per usare le parole di Legacoop, s’intende un modello di impresa cooperativa a forte carattere di innovazione sociale, nelle quali “i cittadini sono produttori e fruitori di beni e servizi”. Si tratta di un “modello che crea sinergia e coesione in una comunità, mettendo a sistema le attività di singoli cittadini, imprese, associazioni e istituzioni rispondendo così ad esigenze plurime di mutualità”. Ciò che caratterizza queste comunità – che in virtù di queste peculiarità tendono a concentrarsi nelle aree marginali della penisola – è il fatto che la produzione di beni e servizi incidono “in modo stabile e duraturo sulla qualità della vita sociale ed economica della comunità”.
Secondo un rapporto di Euricse pubblicato nel 2019, in Italia le cooperative di comunità sono 109, diffuse in maniera disomogenea a causa anche delle 9 diverse normative regionali che le regolano. Occorre insomma – come ribadito anche da Slow Food che ha organizzato il tavolo di lavoro insieme a Legambiente – definire una normativa nazionale che ne riconosca il valore, adottando una definizione puntuale delle cooperative di comunità e riconoscendo la loro multifunzionalità, grazie alla quale poter gestire servizi e attività economiche (e non) molto diverse tra di loro, dalle produzioni agroalimentari alle attività commerciali di dettaglio, dai servizi di trasporto locale al riuso di beni pubblici o alla manutenzione del patrimonio boschivo.
L’Accordo di Foresta: una necessità non prorogabile
Nove milioni di ettari di foresta e quasi due milioni di ettari di altre terre boscate: sono i dati italiani fotografati, nel 2019, dal primo Rapporto sullo stato delle foreste e del settore forestale in Italia, pubblicato dal ministero per le Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. Una superficie che conta per quasi un terzo dell’intero territorio nazionale, e la cui proprietà rimane uno dei temi più dibattuti: circa due terzi è di proprietà privata, e la rimanente parte è nelle mani pubbliche. Le modalità di gestione di queste aree sono variabili: in alcuni casi ne sono coinvolti i consorzi forestali, in altri (in particolare in Lombardia) sono in vigore i contratti di foresta.
Da Oltreterra è stata invece rilanciata una proposta di legge: l’Accordo di Foresta, “uno strumento propedeutico allo sviluppo di azioni concrete di associazionismo volte a realizzare interventi condivisi per la conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio forestale da parte di una comunità locale”. Gli obiettivi di un accordo di questo tipo sono molteplici: tra gli altri, “porre le basi per lo sviluppo di filiere sostenibili” a livello produttivo, ambientale e socioculturale, generare “occupazione e innovazione”, assicurare “un equilibrio tra esigenze ecologiche, ambientali, paesaggistiche e necessità umane” e “realizzare scelte condivise su un’area vasta”.
“Saranno le comunità della montagna a salvare la montagna”. Per questo bisogna lavorare su due fronti. Da un lato bisogna creare “situazioni che possono essere favorite dall’innovazione tecnologica, dallo sviluppo in atto delle pratiche dello smart working e del coworking che vede oggi una tendenza, determinata anche dagli effetti di Covid-19 che privilegia la possibilità di riabitare le aree montane a discapito delle grandi città”. Dall’altro, prosegue il documento finale, seguire e incoraggiare questi nuove spinte turistiche accelerate dalla pandemia che ci “costringe a ripensare le modalità di fruizione turistica della montagna che prevedevano affollamenti eccessivi, a cominciare dai tradizionali sport invernali peraltro già ridimensionati dagli effetti del cambiamento climatico. D’altro canto la crescita indiscussa – in atto già da alcuni anni – dei nuovi turismi improntati alla fruizione attiva e slow del territorio si è ben combinata con le disposizioni anti Covid-19 facendo registrare, nella scorsa stagione estiva, un vero e proprio boom del turismo outdoor dei cammini, del cicloturismo, del turismo genealogico e del turismo legato all’arte, dei soggiorni nei piccoli centri delle aree rurali, nelle aree protette, nelle località montane. Da tempo abbiamo insistito perché questi luoghi fossero percepiti come erogatori di servizi ecosistemici, riserve strategiche di acqua, biodiversità, energia rinnovabile, foreste e materie prime. Ora ne va sottolineata la funzione come luoghi del benessere, della salute e della rigenerazione, della creazione di opportunità ricreative e salubri per un turismo non più vissuto come un lusso, ma come un diritto di ciascun cittadino”.
Microfiliere forestali per microeconomie sostenibili
Le filiere forestali possano avere un ruolo centrale per lo sviluppo di numerose microeconomie sostenibili della montagna italiana. Per questo motivo le foreste vanno salvaguardate da ciò che le minaccia, ad esempio la speculazione e la crisi climatica. È auspicabile una “gestione forestale climaticamente intelligente”, utile a conservare la risorsa forestale, assicurare l’approvvigionamento della materia prima legno e lo svolgimento delle varie funzioni ecosistemiche: si tratta, in altre parole, di una vera e propria “gestione attiva” della risorsa foresta.
Tra le microeconomie di cui si è discusso spicca la filiera del legno: per contribuire al sostentamento economico delle comunità locali e al mantenimento del ruolo multifunzionale delle foreste, è necessario valutare le produzioni dal punto di vista etico, adottando gli strumenti necessari a ridurre l’importazione di legname illegale e ottimizzando le produzione, attivando filiere locali certificate. Ciò presuppone che la Pubblica Amministrazione ricopra un ruolo attivo nella promozione dei temi della gestione forestale e che anche la società civile ne venga attivamente coinvolta.
Un paesaggio montano da proteggere e far vivere
“In questo momento storico è necessario fare chiarezza sull’origine e le caratteristiche del paesaggio montano, oggi largamente dominato da vegetazione forestale sia per effetto dell’opera di rimboschimento del secolo passato sia per l’effetto dell’abbandono delle attività agro-pastorali montane avvenuto nel secondo dopoguerra”, si legge nella relazione finale.
Ripensare la montagna e il suo paesaggio come una vera risorsa – rinnovabile, economica, sociale e culturale – dove poter ripristinare comunità che li possano abitare e ne possano trarre da vivere richiede uno sforzo da più punti di vista. Significa infatti partire da una definizione di paesaggio (rurale e montano) prendendo in considerazione l’antropizzazione e mettendolo in relazione ai saperi delle comunità che lo hanno modellato. Farlo richiede di considerare il paesaggio come un luogo di incontro – e non di scontro – di molteplici interessi, che occorre mediare e negoziare in modo partecipativo.
Solo da un’analisi di questo tipo è possibile partire per ragionare su come lavorare per ripristinare, laddove possibile, paesaggi e territori attraverso opere di coltivazione delle foreste e della montagna con lo scopo di trarne risorse economiche e sociali che favoriscano il ritorno alle zone montane delle comunità, promuovendone e tutelandone il lavoro. A questo impegno, e sempre attraverso il lavoro delle comunità che abitano la montagna e le sue foreste, si deve accompagnare il recupero della biodiversità.
Occorre insomma lavorare su un duplice piano: quello di cura del territorio, che per quanto naturale e selvaggio non deve sfociare nel semplice abbandono, e al contempo quello di sviluppo di infrastrutture e connettività, condizioni indispensabili al ripopolamento stabile e sostenibile di queste aree.
Oltreterra, organizzato da Slow Food insieme a Legambiente, Parco Nazionale Foreste Casentinesi e Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano e in collaborazione con Romagna Acque – Società delle fonti, PEFC Italia, CREA – Centro Politiche e Bioeconomia e Università degli Studi di Firenze, fa parte di Terra Madre Salone del Gusto 2020, la manifestazione dedicata al cibo buono pulito e giusto e alle politiche alimentari che propone un ricco palinsesto di iniziative organizzate dalla rete Slow Food in 160 Paesi del mondo, coinvolgendo il pubblico in eventi digitali, fisici e diffusi fino ad aprile 2021.