«Abbiamo una concezione aperta, e liquida, di quello che sono cultura, lingua, origini. Per La Serpe d’Oro volgere lo sguardo al repertorio popolare è un modo di interrogarsi sul futuro, anche perché lo affrontiamo con le sonorità, le soluzioni, pure le debolezze musicali che ci hanno formati, e quindi il folk, il blues, un certo tipo di rock contaminato: non suoniamo come se fossimo contadini, altrimenti saremmo davvero inautentici, posticci. Tradire, per essere fedeli, come dicono certi filosofi». Uno spirito, una filosofia culturale e musicale, un modo di pensare e affrontare la musica: con queste parole La Serpe D’Oro presenta il nuovo album Il pane e la sassata (L’amore… è come l’ellera?).
A quattro anni di distanza dall’esordio Toscani Randagi, il gruppo guidato da Igor Vazzaz rilancia con forza e passione la propria toscanità – «una commistione di suoni acustici ed elettrici, fondamentale per sottrarci a qualsiasi dimensione bucolica, illustrativa, cartolinesca», sottolinea Vazzaz – all’insegna di un folk contaminato, che accoglie con generosa ospitalità elementi rock, blues, desertici, costruendo un ideale palco sonoro da teatro-canzone.
«Il pane e la sassata è un’espressione piuttosto enigmatica e neppure diffusa in tutta la Toscana: equivale a dire “o bene bene, o male male”, ma c’è chi la interpreta pure come un’apposizione di qualcosa di buono (il pane, appunto) subito seguito dal suo contrario (la sassata)».
In questo gioco di contrari che dà il titolo all’album, scorrono canzoni attinte dal repertorio popolare toscano, con l’eccezione di alcuni brani che sottolineano la dimensione autorale del gruppo, da Amor la vaga luce (testo tratto dal Decamerone) a Marassi Blues, la Folsom Prison Blues di Johnny Cash reinventata dalla Serpe, da Sfiorisci bel fiore di Enzo Jannacci a Giga di Arcidosso e Taranteretike, due strumentali composti da Vazzaz.
Amor, la vaga luce – con il videoclip di Debora Pioli in anteprima su BlogFoolk – è nata durante il primo lockdown di marzo 2020 e richiama una chiusura altrettanto “storica”, quella della peste fiorentina del 1348, durante la quale si svolsero le giornate del Decamerone di Boccaccio. Il brano infatti è una rivisitazione della canzone recitata da Dioneo alla fine della Giornata V, commissionata alla Serpe d’Oro da Giovanni Guerrieri della compagnia teatrale I Sacchi di Sabbia per la Scuola Normale Superiore di Pisa. Altrettanto significativo l’esperimento di Sotto il ponte della Sieve, nata con la collaborazione di Claudio Riggio, chitarrista di provenienza jazzistica, e Stefano Giannotti di OTEME: da una registrazione originaria di settanta minuti, il brano è stato frazionato sino a diventare l’asse portante dell’intero album.
La Serpe D’Oro è nata a Siena nel 2013, un progetto dedicato alla canzone popolare toscana, con la straordinaria figura di Caterina Bueno come riferimento principale. Dopo un’instancabile attività di concerti, che porta il teatro canzone della formazione dalle piazze ai bar, nel 2017 esce il primo album Toscani randagi. Canti d’amore, rabbia e osteria, seguito dai recital Maledetta Toscana. Viaggio cantato per motti e indoli nella regione più amata (e odiata) d’Italia (2017) e D’amore, d’anarchia e di altri virus letali. Canzoni (e passioni) tra la Toscana e Timbuctù (2018).
Il tutto con un filo conduttore importante: «Suoniamo quel che suoniamo non per “salvare” un repertorio: lo facciamo perché i pezzi che scegliamo sono belli, “ci parlano” e vale assolutamente la pena di riprenderli. Affinché ci parli davvero, è assolutamente necessario che il repertorio venga “interrogato” (ossia vivificato) con i suoni e le soluzioni che ci sono affini, nella nostra “lingua musicale”, senza forzarci volendone parlare un’altra. Per noi la canzone popolare toscana è il “nostro blues”, e infatti parla di lavoro, fatica, amore, sofferenza».