Non tutti ne sono a conoscenza ma, oltre ad essere stato un grande scrittore, seduttore e linguista dall’innata creatività, Gabriele D’Annunzio fu inventore di neologismi, marchi e vocaboli entrati a far parte della vita quotidiana di milioni di italiani, che ancora oggi citano il Vate senza nemmeno rendersene conto. Il motto me ne frego, la Rinascente e il tramezzino: questi sono solo in parte i neologismi nati dalla penna creativa del poeta.
Il Vate era un amante delle novità, curioso scopritore che sperimentava in prima persona i cambiamenti rivoluzionari dell’epoca. La sua eredità ha cambiato notevolmente la vita degli italiani ispirando numerosi artisti come l’attore e regista Edoardo Sylos Labini che ha deciso di raccontare gli ultimi anni di vita del poeta, tra amore, passione e grande letteratura, con lo spettacolo “D’Annunzio Segreto”, in scena al Teatro Manzoni di Milano.
L’attore metterà in luce il lato più intimo e fragile di D’Annunzio fornendo un ritratto inedito del Vate: “La figura di Gabriele D’Annunzio è oggi più viva che mai, il suo spirito rivoluzionario e provocatorio, il suo porre la cultura al centro delle sue battaglie è un esempio sempre attuale – spiega l’attore e regista Edoardo Sylos Labini – Del resto soltanto l’arte e la poesia sono immortali e il Vate ci ha lasciato delle pagine indimenticabili di grande letteratura”.
Il Vate trovava ispirazione in ogni aspetto della vita letteraria e traeva spunto anche dall’arte e dal cibo. Infatti, in un momento storico in cui il processo di italianizzazione prendeva forma e quindi anglicismi e francesismi erano aboliti, il termine sandwich doveva essere tradotto. Mentre il Vate soggiornava in un bar di Torino esclamò: “Ci vorrebbe un altro di quei golosi tramezzini” ispirandosi al termine architettonico tramezzo. D’Annunzio era un grande conoscitore della lingua italiana in costante competizione con Dante Alighieri, tanto da vantarsi di aver usato 40mila parole nelle sue opere, mentre il Sommo Poeta solo 12mila. A corredo, fu anche lui a inventare motti come “me ne frego!” e il famoso “Io ho quel che ho donato” che svetta all’ingresso del Vittoriale oppure l’espressione “tener-a-mente”. È un gioco di parole presente su moltissimi bigliettini e fotografie che il Vate dedicava alle sue donne, tra cui Luisa Baccara e Olga Levi Brunner, a significare il dolce ricordo delle amanti.
Ma anche il mondo dello sport deve a D’Annunzio un tributo. “A lui per esempio dobbiamo l’invenzione dello scudetto” racconta Edoardo Sylos Labini. L’idea dello scudetto, nacque da una partita di calcio disputata dal Vate durante l’occupazione di Fiume nel 1920. Sulle maglie dei giocatori, invece dello scudo sabaudo come era in vigore, decise di applicare uno scudetto di rimando araldico con i colori della bandiera italiana. La sua idea si rivelò geniale e a tal proposito, in un editoriale, il Presidente del Vittoriale degli Italiani, Giordano Bruno Guerri ha raccontato: “Il vero trionfo calcistico del Vate avvenne quasi dieci anni dopo la sua morte, nel 27 ottobre 1947, quando la nazionale Italiana di calcio giocò a Firenze contro la Svizzera, stravincendo nella sua prima partita postbellica: gli azzurri avevano sul petto lo scudetto tricolore di D’Annunzio, quello sannitico”.
D’Annunzio era un vero e proprio creativo e ideò anche due marchi molto famosi al giorno d’oggi, Rinascente e Saiwa. Il primo gli venne in mente quando nel 1917 un grande magazzino di Milano fu distrutto dalle fiamme e lui per l’occasione ribattezzò quello nuovo con il termine Rinascente. Il marchio dei rinomati biscotti invece nacque nel 1922, quando la piccola pasticceria genovese denominata Società Accomandita Industria Wafer e Affini si trasformò in una delle prime imprese europee per la produzione di dolci,di cui il Vate era un goloso consumatore. D’Annunzio semplificò il nome utilizzando solo le iniziali della società, tramutandolo nell’acronimo Saiwa.
Il Vate mise in pratica per primo anche il concetto di marketing, accostando per esempio il cioccolato all’automobile. Famoso per questa sua passione, fu convocato dal senatore Agnelli che gli chiese di aiutarlo a formulare una réclame per l’uscita della nuova autovettura di lusso, la Fiat Tipo 4. Era il secondo decennio del 1900 e D’Annunzio rispose che la migliore pubblicità sarebbe stata quella di associare un cioccolatino all’auto, scegliendo il cremino a base di mandorle e nocciole tostate prodotto da Majani. Aveva quattro strati come il numero 4 della macchina e durante la presentazione il Vate lanciò cioccolatini suscitando clamore e consacrando il successo della Fiat, oltre che del marchio Majani.