L’associazione Endangered Bodies ha vinto: dopo la petizione lanciata in 8 paesi nel mondo sul sito Change.org e firmata da circa 16mila persone, lo status “mi sento grasso” (con l’emoticon annessa) è stato eliminato da Facebook. Dopo la fredda risposta di una portavoce (“Le persone usano Facebook per condividere le loro sensazioni, noi offriamo loro un pacchetto da oltre cento feeling da aggiungere al post”), Mark Zuckerberg si è dovuto arrendere alla raccolta di firme “Fat is not a feeling” (“Grasso non è un sentimento”) che richiedeva la rimozione dello stato disponibile su FB. Con la pubblicazione di uno stato del genere gli utenti “si prendono gioco di chi si considera davvero sovrappeso, persone con disturbi alimentari incluse […]. Essere grassi non è una sensazione: il grasso fa parte del nostro corpo e tutti i corpi meritano rispetto”, ribadiva la petizione.
Secondo uno studio condotto da Kaspersky Lab e B2B International (e presentato al Mobile World Congress di Barcellona) il 22% non si sente in grado di avere il controllo online dei propri figli (48% se si riferisce al cyberbullismo). Il 25% dei genitori dei ragazzini molestati online, inoltre, dichiara di aver saputo dell’accaduto tempo dopo; solo il 44% di essere intervenuto per prevenire la cosa. Il cyberbullismo è un fenomeno in aumento: secondo Elvira D’Amato, vice questore aggiunto della Polizia Postale e direttore del Centro nazionale per il contrasto alla pedofilia online, nonostante siano “dati assolutamente parziali”, in Italia dal 2010 sono stati denunciati 243 minori e ci sono state molte vittime del bullismo sul web: 37 fino a 9 anni, 84 tra 10 e 13 e 477 nella fascia dai 14 ai 17 anni. “C’è una crescita di segnalazioni, quindi di sensibilizzazione, e un aumento della rilevazione dei casi”, assicura la D’Amato.
Il 6 marzo, inoltre, è stato approvato all’unanimità, in Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, il Ddl 1261 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” che prevede la rimozione dei contenuti offensivi dalla rete (e dai social) entro 24 ore dalla segnalazione: l’avviso potrà arrivare dagli utenti dai 14 anni in su (per quelli al di sotto di quest’età sarà obbligatorio il coinvolgimento di uno dei genitori). Lo scopo del disegno di legge è, secondo la prima senatrice firmataria Elena Ferrara (Pd), quello di cancellare e oscurare contenuti online “il cui scopo intenzionale e predominante è quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo”. Il testo è quindi pronto per essere discusso in aula. Come evidenziato da Michela Vittoria Brambilla, presidente della Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza, “l’ultima indagine di Telefono azzurro e Doxakids, pubblicata qualche tempo fa contiene dati impressionanti: 2 ragazzi su 3 (39,2%) conoscono qualcuno che è stato vittima di cyberbullismo, 1 su 10 ne è stato vittima”.
In questi giorni un uomo è diventato, suo malgrado, una vittima del cyberbullismo globale. Sorpreso da dei ragazzi a ballare in un locale a Londra, è stato immortalato mentre si scatenava nel suo ballo. Dopo essersi accorto delle derisioni e degli scherni dei ragazzi, ha abbassato lo sguardo mortificato. I due scatti sono stati messi su internet con un commento alquanto crudele: “La scorsa settimana abbiamo avvistato questo esemplare che cercava di ballare. Ha smesso quando ci ha visto ridere”. La blogger Cassandra Fairbanks il 5 marzo ha deciso di ideare una controffensiva adeguata: ha organizzato una festa a Los Angeles per solidarietà all’uomo (con l’hashtag #FindDancingMan) grazie al quale “il ballerino” è diventato una vera e propria star della rete. Oltre alla scelta di 1.700 donne di ballare con lui, vip come Moby, Susan Sarandon e Pharrell Williams hanno dichiarato che saranno presenti al party “Never stop dancing”, un ricevimento per contrattaccare le offese dei bulli sul web. Ora l’uomo è su Twitter (Dancingmanfound) ed è seguito da più di 78mila persone.