Da più di un anno, nei 16 Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) della provincia di Ragusa, che ospitano circa 400 persone, MSF fornisce supporto psicologico e assistenza. Da gennaio ad agosto, un team MSF composto da due psicologi ha condotto 37 sezioni di gruppo che hanno coinvolto circa 300 persone e avviato un percorso di supporto psicologico per 103 richiedenti asilo, attraverso 600 consultazioni totali.
L’intervista alla dott.ssa Gaia Quaranta, psicologa MSF.
Dall’inizio dell’anno 115.000 persone sono arrivate in Italia. Perché è importante andare oltre i numeri?
Gli ‘sbarchi’ e il numero degli ‘sbarcati’ sono diventati un vero e proprio simbolo mediatico entrato a far parte del nostro immaginario collettivo italiano; una massa umana omogenea e indifferenziata accomunata solo dalla condizione di ‘migranti’. Tuttavia, per chi lavora tutti i giorni con quei migranti che hanno sfidato il Mar Mediterraneo i ‘numeri’ senza un nome e cognome, ritrovano umanità. Molti di loro hanno vissuto esperienze traumatiche nei loro Paesi d’origine come guerre, persecuzioni e violenze. Durante il viaggio verso l’Europa, sono stati vittime di abusi o assistito alla morte di amici e familiari. Gli ospiti dei centri d’accoglienza straordinaria della provincia di Ragusa sono uomini adulti, tra i 19 e i 30 anni, principalmente originari di Nigeria, Mali, Gambia e Senegal.
Che cosa raccontano le persone durante le sessioni di supporto psicologico?
Ascoltiamo testimonianze eloquenti e commoventi che mostrano quanto sia forte la resistenza degli esseri umani che hanno vissuto esperienze traumatiche terribili. Durante i colloqui, i migranti riportano di aver perso familiari, in alcuni casi assistito anche alla loro morte o al rapimento, testimoniano di essersi trovati a rischio di perdere la vita, di essere stati detenuti, torturati e violentati, di aver subito violenze fisiche e psicologiche prima del viaggio verso l’Europa. Le minacce di morte e le aggressioni che scandiscono l’esodo e la fuga sono spesso vicende traumatiche sperimentate all’interno di conflitti armati o di violenze diffuse. Un ragazzo nigeriano mi ha raccontato di aver perso tutta la sua famiglia, il padre e un fratello uccisi davanti a lui. È fuggito in Niger ed è stato imprigionato ad Agadez. Quando è riuscito ad arrivare in Libia, ha perso sotto le bombe l’unico fratello rimastogli. Dopo aver attraversato il Mediterraneo, è ora in Italia ospite in un centro di seconda accoglienza della provincia di Ragusa.
Prendersi cura di loro. Quali sono le sfide?
Quando si parla di salute mentale ai richiedenti asilo è fondamentale per l’operatore non focalizzarsi unicamente sul passato traumatico, ma essere in grado di mettere in rapporto le diverse forme di disagio psichico con le esperienze e le sfide che caratterizzano il presente. Mentre sono in attesa, all’interno dei centri di accoglienza, i richiedenti asilo vivono con l’incertezza del futuro. Alcuni elementi che li tormentano sono la preoccupazione del risultato delle loro richieste di asilo, e la paura di essere rimpatriati a casa. In particolare, la solitudine nei centri di accoglienza, la sospensione temporale, la passività forzata continuano a perseguitarli. In molti casi, questi elementi rappresentano l’ostacolo più rilevante per il ristabilimento di un equilibrio del loro benessere mentale.