9 novembre 2020 trentunesimo anniversario del crollo del muro di Berlino. Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, le tradizionali celebrazioni, molto sentite in Germania, sono state cancellate. Possiamo addentrarci, però, in alcune riflessioni, per esempio, su come stia l’Europa oggi a 31 anni da quell’evento che doveva cambiare il mondo. Domanda lecita proprio alla luce degli ultimi eventi che hanno impattato sull’Europa e sul mondo intero. Dopo aver abbattuto quello che allora era visto come il pericolo comunista, quale modello di democrazia è stato introdotto? L’Europa che all’epoca si voleva costruire, ammesso che si avesse un progetto per il futuro, è quella che effettivamente viviamo oggi?
Crollo del muro di Berlino: cosa si ricorda con l’anniversario
I primi pezzi del muro che si ergeva al centro della città iniziarono a cadere la sera del 9 novembre. Si era appena tenuta una conferenza stampa. L’allora portavoce del governo di Berlino Est, Gunter Schabowski, aveva dichiarato che sarebbe stato concesso ai tedeschi residenti a Berlino est di spostarsi verso la parte ovest della città. L’entusiasmo fu tale che le persone si precipitarono in massa e in poche ore furono date le prime picconate. Con esso stava crollando il modello comunista che, nelle menti democratiche, aveva tenuto ostaggio non solo parte della Germania ma tutti quei Paesi che fino ad allora avevano fatto parte della cosiddetta cortina di ferro. E ora che il mondo non era più diviso in due blocchi sotto l’egida delle due superpotenze Stati Uniti e Unione Sovietica, potevano finalmente sperimentare anche loro la democrazia. Com’è andata?
Roccaforti di povertà
Dopo la caduta del comunismo, Bulgaria, Cecoslovacchia (oggi divisa in Cechia e Slovacchia) e Romania, hanno vissuto una forte crisi economica che le ha indebolite notevolmente. L’ingresso nell’Unione Europea doveva significare un gesto di emancipazione e un’occasione di crescita sotto tanti aspetti. Si è rivelato, invece, un vantaggio più per gli imprenditori stranieri (italiani in primis) che in questi Paesi hanno delocalizzato porzioni importanti delle loro produzioni industriali. Una strategia che ha saputo ben sfruttare le sacche di povertà presenti invece di incentivare piani di riconversione industriale o di ammodernamento delle infrastrutture che permetterebbero loro di avere un posto dignitoso all’interno della compagine europea.
Dal comunismo al nazionalismo
Diversa la situazione per Ungheria e Polonia dove, soprattutto per quest’ultima, la riconversione da economia comunista a economia di mercato ha dato ottimi risultati. Il Paese natale di Giovanni Paolo II (sul soglio di Pietro all’epoca del crollo del muro) ha saputo attuare tutta una serie di riforme interne e diventare il maggiore produttore alimentare dell’Unione Europea. Riforme che, a mano a mano che trasformavano il tessuto sociale, assistevano al graduale passaggio da forze politiche di sinistra a quelle di destra. Il risultato lo vediamo oggi con le riforme sempre più reazionarie. Si pensi che la Polonia è attualmente il Paese europeo più agguerrito contro le comunità LGBT e che qualche settimana fa ha approvato una legge contro l’aborto anche quello eugenetico. Per intenderci, non sarà possibile abortire neanche in caso di malformazioni del feto.
L’emergenza sanitaria da Coronavirus è stata, invece, l’occasione per Viktor Orban, premier ungherese, per avere pieni poteri. La legge approvata lo scorso 30 marzo gli dà il potere perfino di sciogliere il parlamento e sedare ogni tipo di rimostranza verso le sue politiche. Due scenari, quello della Polonia e dell’Ungheria, sotto la lente dell’Unione europea sempre più in difficoltà. Abolita la minaccia comunista, si è creato l’incubo sovranista.
In copertina foto di Anja?#helpinghands #solidarity#stays healthy? da Pixabay