Crollano a inizio febbraio i prezzi nelle campagne italiane, dal -60% per cento dei pomodori al -30 % per il grano duro fino al -21% per le arance rispetto all’anno scorso. E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti su dati Ismea a febbraio 2016 dai quali si evidenzia che la discesa delle quotazioni al di sotto dei costi di produzione mette a rischio il futuro della Fattoria Italia, in occasione della divulgazione dei dati Istat sul Pil.
Non deve ingannare il fatto che l’agricoltura insieme ai servizi abbia fatto registrare una variazione congiunturale positiva del valore aggiunto in contrasto con la flessione del comparto dell’industria concorrendo all’andamento positivo del Pil nel quarto trimestre del 2015 secondo l’Istat.
La situazione dei prezzi in campagna sta assumendo toni drammatici anche per gli allevamenti con le quotazioni per i maiali nazionali destinati ai circuiti a denominazione di origine (Dop) che ormai da giorni sono scesi ben al disotto della linea di 1,25 centesimi al chilo che copre appena i costi della razione alimentare.
Cosi come i bovini da carne che sono pagati su valori che si riscontravano 20 anni fa, per non parlare del prezzo del latte che con il venir meno degli accordi da marzo sarà ancora in balia delle inique offerte dell’industria. In crisi anche il grano a causa delle scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato.
Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta. Il risultato è che è fatto con grano straniero un pacco di pasta su tre e circa la metà del pane in vendita in Italia ma i consumatori non lo possono sapere mentre è a rischio il granaio Italia ed il futuro di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano ma anche la desertificazione di un territorio di 2 milioni di circa ettari e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy.
Anticipo dei calendari di maturazione, accavallamento dei raccolti, varietà tardive diventate precoci, con eccesso di offerta prima e crollo della disponibilità poi, sono questi sono alcuni degli effetti dell’andamento climatico anomalo sulle verdure che subiscono anche la pressione delle importazioni, determinate dall’embargo russo nei confronti dell’UE e, più recentemente, della Turchia, ma anchela scarsa trasparenza dei mercati.
Così prodotti come i cavolfiori o i finocchi hanno visto crollare le quotazioni, rispetto allo scorso anno, rispettivamente del 36,1% e del 26,7%, mentre il radicchio, 32 centesimi al chilogrammo, è posizionato su quotazioni inferiori del 55,4% allo stesso periodo del 2015. La situazione più grave è però quella delle colture in serra, in primo luogo i pomodori, le cui quotazioni si sono ridotte del 60,4% rispetto al 2015, principalmente a causa delle forti importazioni agevolate dal Marocco che stanno condizionando il mercato europeo.
In sofferenza anche prodotti tipicamente invernali come arance e kiwi. Le arance sono quotate all’origine il 21,3% in meno dello scorso anno, con un prezzo medio pagato al produttore intorno ai 22 centesimi, in un mercato invaso da agrumi di importazione, spesso spacciati per italiani.
A subire gli effetti delle importazioni è anche un altro prodotto simbolo della dieta mediterranea made in Italy come l’olio extravergine di oliva sotto la pressione dell’annunciato accesso temporaneo supplementare sul mercato dell’Unione di 35mila tonnellate di olio d’oliva tunisino a dazio zero per il 2016 e 2017, dopo che in Italia sono già aumentate del 520% le importazioni dell’olio di oliva dal Paese africano.