Per le bancarelle business da 25 miliardi
Il giro di affari dei mercatini, in Italia, vanta numeri a piu’ zeri. Sono 162.000 le ‘imprese’ del settore, di cui il 16% a conduzione femminile e il 33% a titolarita’ extracomunitaria, per un totale di 350.000 addetti, fra collaboratori familiari e personale dipendente con un ulteriore indotto di altre 100.000 unita’. Tutti insieme ‘muovono’ tra i 25 e i 26 miliardi di euro tra mercati, itineranti, chioschi e fiere grazie a 24 milioni di consumatori che vanno al mercato una volta a settimana ed effettuano almeno un acquisto. Questi i dati 2008 della Fiva, Federazione italiana venditori ambulanti e su aree pubbliche, dai quali emerge anche che sono 4 milioni e 380mila i metri quadri di superficie di vendita attivata dai banchi. In particolare, 828.000 mq interessano il settore alimentare, 2.062.000 mq l’abbigliamento, vestiario e calzature e 1.490.000 mq merci varie. Le quote di consumo spaziano dall’ortofrutta con il 50-55% dei consumi, al pesce 35-40%, ai salumi e formaggi 15-20%. A seguire, intimo maglieria 15%, abbigliamento e confezioni 10-12%, jeanseria camiceria 12%, calzature 5-7% profumi e detergenti 3-4%, audiomusica 2-3%, piante e fiori 5-6% e pelletterie 8%. Rispetto ad altri comparti del dettaglio i cui punti vendita sono crollati, il commercio ambulante e su aree pubbliche ha, in questi anni, registrato se non un avanzamento, secondo la Fiva, almeno una tenuta. La contrazione delle ditte esercenti l’attivita’ su posteggi fissi, in particolare nel comparto dei prodotti alimentari, induce a ritenere da un lato che le aree mercatali siano ormai sature o che comunque esiste una certa difficolta’ nell’individuazione e assegnazione di nuovi posteggi. Dall’altro, che le imprese tendano a trasformare la loro offerta merceologica soprattutto in direzione del comparto non alimentare. La presenza sempre piu’ massiccia delle imprese extracomunitarie che operano prevalentemente nella tipologia itinerante e nel comparto dell’abbigliamento e vestiario, osserva la Fiva, se da un lato marca ancora una volta il carattere sociale e aperto del settore, rischia di evolversi in senso negativo, se non sara’ assicurata anche un’ampia integrazione delle merci ed una maggiore qualificazione professionale.