Per capire cos’è la creator economy bisogna pensare al suo sinonimo più prossimo, a quel modo alternativo di definirla: passion economy. La creator economy, infatti, coniuga passione e tecnologia con ottime possibilità di guadagno, che non guasta mai. Il fenomeno, non certo nuovo, ha avuto nei mesi di pandemia un’incremento esponenziale.
Creator economy: ecco cos’è
La creator economy è legata, appunto, alla creazione di contenuti. Che siano video, audio o scritti, l’importante è che trattino di argomenti che interessano alle persone. Condivisione dopo condivisione, si crea un pubblico di riferimento, o meglio, una community. Un insieme di persone che pur avendo avuto inizialmente accesso gratuito ai suddetti contenuti, dopo un po’ saranno disposti a pagare per continuare a usufruirne. L’altro aspetto di questa economia sono, infatti, gli strumenti digitali di monetizzazione.
Stiamo parlando di come la famosa Chiara Ferragni ha creato la sua fortuna? No. Il content creator non è un influencer e spieghiamo il perché. Il primo diffonde i suoi contenuti senza creare partnership con aziende; saranno queste che, se interessate, avvieranno delle collaborazioni. Al contrario gli influencer iniziano la loro attività col preciso scopo di intrattenere relazioni con le aziende. Ciò che le due figure possono avere in comune è che entrambi parlano di ciò che li interessa, li appassiona e utilizzano i social per crearsi un loro seguito.
I social più “creator”
Pur essendo Instagram e YouTube i social attualmente preferiti dai creator (insieme contano, infatti, circa 50 milioni di creator di cui 2 milioni di professionisti) iniziano a emergere anche altre realtà come TikTok, OnlyFans, Clubhouse, Pinterest. Instagram e Pinterest sono “terreno di caccia” di molti fotografi, YouTube e TikTok di registi. Poi ci sono piattaforme come Tumblr e WordPress che sono le più usate dai blogger, Storytel e Audible sono i più gettonati da quanti producono contenuti audio, mentre Twitch e Mixer sono preferiti da quanti realizzano delle dirette.
Il fenomeno, che sta vivendo una stagione di crescita esponenziale come dicevamo, ha indotto molte piattaforme a perfezionare i meccanismi di monetizzazione. Clubhouse, per esempio, ha ideato Payments, Twitter Super Follows, Instagram Storie esclusive: strumenti che consentono ai creator di ottenere dei pagamenti da parte dei loro follower. L’ultima frontiera (sempre al momento si intende) sono le piattaforme di crowfounding come Patreon (molto utilizzata dagli artisti) che consente agli iscritti della community di abbonarsi a dei contenuti o di fare delle donazioni.
Creator economy e self branding
Perché la creator economy ha avuto una vera esplosione negli ultimi mesi? Senza dubbio per l’utilizzo più intenso dei social dovuto a una più lunga permanenza in casa. Il vero motivo del suo successo, tuttavia, è un altro: consentire di coltivare una passione, che sia quella della cucina o dell’estetica o del fai da te, e per alcuni di trasformarle in un lavoro. La passion economy ha consentito a tanti che lavoravano da “ghost” di emergere e farsi conoscere. I creator, in genere, hanno iniziato per hobby, come secondo lavoro, e per alcuni si è trasformato nel lavoro principale. Di lavoro, questo fenomeno, ne ha dato, in realtà, a molte altre realtà che oggi possiamo definirle un vero e proprio indotto. Esistono startup specializzate nella creazione di contenuti, altre nell’individuazione del canale social più indicato per ogni attività. Secondo l’ultimo report di Influencer Marketing Hub, azienda leader nella produzione di guide, corsi e rapporti di ricerca nel settore dei social media e dell’Influencer marketing, il mercato prodotto dalla creator economy si aggira intorno 104,2 miliardi di dollari ed è destinato a crescere ulteriormente.
In copertina foto di Gerd Altmann da Pixabay