(Adnkronos) – In passato ci sono stati i tentativi, di diversi colore politico, per migliorare i controlli anti evasione. Oggi è la volta del redditometro, che è stato nuovo per 24 ore e che è stato rapidamente rimesso in un cassetto, in attesa di tempi migliori. La sorte è la stessa, quando sale troppo la pressione ci si ferma e lo schema si ripete. Prima il decreto del Mef, poi la notizia circolata rapidamente e le polemiche che ne sono seguite, alla fine è arrivato un atto di indirizzo del viceministro dell’Economia Maurizio Leo e del direttore del dipartimento Finanze Giovanni Spalletta a rimettere a posto le cose.
Traduzione più comprensibile per tutti: come spiegato dalla premier Giorgia Meloni, si vuole utilizzare lo strumento per stanare gli evasori totali, quel “fenomeno inaccettabile, ad esempio, di chi si finge nullatenente ma gira con il Suv, o va in vacanza con lo yacht, senza però per questo vessare con norme invasive le persone comuni”.
osa insegna questa storia, al netto di qualsiasi interpretazione politica di parte? La marcia indietro con l’atto che ferma l’entrata in vigore del nuovo strumento conferma che quando si parla di evasione fiscale la posta in gioco è sempre troppo alta per prendere decisioni che non alimentino una reazione scomposta. C’è troppa distanza, quando si parla di controlli fiscali, tra la realtà e la percezione della politica che sfocia inevitabilmente nella propaganda.
Il fisco ha tutti gli strumenti per controllare quello che vuole, disponendo di oltre 200 banche dati che possono incrociare informazioni di ogni genere. Ma reintrodurre uno strumento che può dare un contributo all’emersione del nero, e che peraltro per come è costruito tutela senza possibilità di smentita i contribuenti onesti, diventa un ostacolo politicamente insuperabile. La speranza che si possa parlare di contrasto all’evasione fiscale senza per forza accapigliarsi su provvedimenti bandiera resta, a questo punto, legata all’attuazione della delega fiscale. (Di Fabio Insenga)
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